mercoledì, agosto 18, 2010

 

ecco cos'è la costituzione materiale


trascrivo dall'Agenzia di Stampa Asca
18-08-10
NAPOLITANO: BALDUZZI (COSTITUZIONALISTA), SONO ALTRI A TRADIRE LA CARTA

(ASCA) - Roma, 18 ago 2010 - Non e' il capo dello Stato a tradire la Carta Costituzionale ma chi scambia ''i propri auspici e i propri orientamenti politici con le regole costituzionali'', confondendo il testo in vigore con quello ''bocciato nel referendum costituzionale del 2006'': a intervenire nelle polemiche tra il Colle e la maggioranza e' il costituzionalista cattolico Renato Balduzzi, ex-braccio destro di Rosi Bindi al ministero della Famiglia durante il governo Prodi e estensore, in quella veste, del ddl mai approvato sui Dico. Balduzzi, presidente dal 2002 al 2009 del Meic, il movimento degli intellettuali di Azione Cattolica, viene intervistato sulla rivista ''Coscienza''.

''Il presidente Napolitano - afferma - non ha fatto altro che ricordare, a tutti, che l'Italia e' una repubblica parlamentare, nella quale cioe' e' compito del Capo dello Stato verificare se esista in Parlamento una maggioranza capace di sostenere il governo. Tradisce la Costituzione e attenta ad essa chi la confonde con il testo bocciato nel referendum costituzionale del 2006. Quello si' che prevedeva la fuoriuscita dalla forma di governo parlamentare e dava al cosiddetto Premier il potere di mandare tutti a casa da solo.

Ma gli italiani, nonostante la contrarieta' di parte del centro-destra e il sostegno tiepido di parte del centro-sinistra, confermarono la fiducia nella Carta: furono la societa' civile, i gruppi di base, l'associazionismo diffuso a 'salvare' la Costituzione''.

Per Balduzzi, nell'attuale dibattito politico, anche da parte di alcuni costituzionalisti, ''si scambiano i propri auspici e i propri orientamenti politici con le regole costituzionali. La cosiddetta costituzione materiale altro non e' che il consenso politico-culturale attorno alla Costituzione formale. Non c'e' in Italia tensione tra l'una e l'altra, lo ha confermato appunto il referendum del 2006''.

''Quanto alla sovranita' popolare - aggiunge -, essa si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, come dice con chiarezza l'art. 1: tra le forme e i limiti, ci sono naturalmente il Capo dello Stato e le altre istituzioni di garanzia''.

Per il costituzionalista, la Carta e' ''in discussione'' gia' ''da molti anni, e non soltanto a parole'': ''Si e' iniziato a violarla senza che i suoi primi difensori, i cittadini-elettori, ne avessero consapevolezza. Esattamente vent'anni fa, alcuni ministri (tra cui quello della Difesa, Mino Martinazzoli) si dimisero dal governo di cui facevano parte perche' contrari all'appoggio governativo all'approvazione parlamentare della cosiddetta legge Mammi', la quale, in spregio ai principi della Costituzione e a numerose sentenze della Corte costituzionale, consentiva a un privato lo strapotere televisivo, rischiando di condizionare in modo irrimediabile il funzionamento della democrazia rappresentativa. Tutto ha origine da li', da questa ferita costituzionale che rende il nostro Paese un'eccezione negativa tra le democrazie contemporanee''.

''Quelli a cui noi assistiamo - conclude Balduzzi - sono aspetti di un piu' generale rovesciamento tra realta' e apparenza, tra verita' e menzogna, appunto tra ladri e caramba. Favorito dalle manipolazioni televisive, cio' rende difficile la formazione di una vera e libera opinione pubblica democratica. Se a cio' aggiungiamo una legge elettorale profondamente sbilanciata a favore degli apparati mediatici e politici, il cerchio negativo si chiude pericolosamente''.

asp/mcc/alf

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sabato, aprile 25, 2009

 

Buon 25 aprile a tutti. Proprio a tutti!

Napolitano: "Ideali validi per tutti"

La fondazione di Fini: "Partigiani patrioti"


La Russa: "Ricorrenza condivisa". Maroni: "Data incancellabile"

ROMA - "Il 25 aprile è una data incancellabile da cui nacque l'Italia libera e democratica". Alla vigilia della festa della Liberazione, la netta presa di posizione del capo dello Stato sembra aver fatto affetto. Dopo giorni di distinguo, di partigiani "buoni e cattivi", le voci che arrivano dalla maggioranza sembrano parlare un linguaggio simili a quello di Giorgio Napolitano. Che oggi torna a levare la sua voce.

E così il ministro dell'Interno Bobo Maroni parla di "data incancellabile" e perfino il ministro della Difesa Ignazio La Russa la definisce "una ricorrenza condivisa". "Sul 25 aprile niente equivoci: il Pdl
lo celebra sta dalla parte dei valori dell'antifascismo e della resistenza" taglia corto il ministro Gianfranco Rotondi. Fino ad arrivare a FareFuturo, la fondazione di Gianfranco Fini, che si spinge oltre: "Forse è arrivato il momento se, anche da destra, soprattutto da destra, si comincia a pensare, con convinzione, senza infingimenti, che i partigiani sono stati buoni italiani. Che la resistenza è stata roba di patrioti. E non di traditori.

E Napolitano, anche oggi, torna a parlare. Ribandendo che il messaggio della Resistenza "vive nella Costituzione", ammonendo " a non ripetere gli errori del passato" e spiegando come possano riconoscersi "nell'eredità spirituale e morale della Resistenza, che vive nella Costituzione, anche quanti vissero diversamente gli anni 1943-1945, quanti ne hanno una diversa memoria per esperienza personale o per giudizi acquisiti".

In quella Carta dice il presidente della Repubblica, si possono riconoscere anche quanti non parteciparono alla liberazione dell'Italia dal nazifascismo. Ma quei principi accettano come validi e indiscutibili.

Infine arriva la conferma che Silvio Berlusconi commemorerà domani il 25 aprile prima a Roma, dove deporrà, insieme al Capo dello Stato Giorgio Napolitano, la corona d'alloro in omaggio al milite ignoto, all'Altare della Patria; poi, si recherà ad Onna, in Abruzzo.

(da Repubblica, 24 aprile 2009)

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Buon 25 aprile a tutti!

Il presidente: "La Carta non può essere violata in nome della governabilità"
"Non può essere intaccato l'equilibrio dei poteri in nome dall'investitura popolare"

Napolitano difende la Costituzione
"Non è un residuato bellico"

"Il 25 aprile non è la festa di una sola parte"

Giorgio Napolitano

ROMA - Difende la Costituzione. Riafferma il valore della Liberazione. Boccia "l'anacronistico bicameralismo perfetto". Sono parole nette quelle pronunciate da Giorgio Napolitano al teatro Regio di Torino nell'inaugurare la "Biennale della democrazia". Un lungo monito in difesa della carta Costituzionale che arriva dopo un continuo stillicidio di attacchi sulla sua attuale validità. "Ogni potere delle istituzioni rappresentative, il potere legislativo ordinario come il potere esecutivo, riconosce la supremazia della Costituzione e rispetta i limiti che essa impone" ammonisce Napolitano. Riaffermandone il primato ("non è un residuato bellico"), il ruolo e l'importanza. Che si esplicita nel porre "limiti che non possono essere ignorati nemmeno in forza dell'investitura popolare, diretta o indiretta, di chi governa".

Parole che suonano come una replica a molti - tra loro anche Silvio Berlusconi - avevano più volte messo in discussione la modernità della Costituzione, lamentando uno scarso margine di manovra per l'esecutivo. Ma se, continua il capo dello Stato, è "del tutto legittimo politicamente" verificare elementi di ulteriore rafforzamento dei poteri del governo, queste modifiche devono essere introdotte "sulla base di motivazioni trasparenti e convincenti". Così come "in funzione della governabilità non si possono sacrificare la divisione dei poteri, la pluralità dei partiti, la tutela delle minoranze politiche". Parole che richiamano il pensiero del filosofo Bobbio secondo cui "la denuncia della ingovernabilità tende a suggerire soluzioni autoritarie". Riafferma l'insostituibilità delle "principali istituzioni del liberalismo'' il presidente della Repubblica, che non possono essere considerate "un bagaglio obsoleto sacrificabile sull'altare della governabilita' in funzione di decisioni rapide, perentorie e definitive''.

All'Italia, piuttosto, serve ''uno scatto culturale e morale e di una mobilitazione collettiva, un rilancio del senso civico, della dedizione dell'interesse generale, della partecipazione diffusa a forme di vita sociale e di attivita' politica".

Infine un passaggio sul 25 aprile, "festa di tutti e non di una sola parte". "I valori dell'antifascismo e della Resistenza - aggiunge il presidente della Repubblica- non restarono mai chiusi in una semplice logica di rifiuto e di contrasto e poterono perciò tradursi con la Costituzione in principi e in diritti condivisibili anche da quanti fossero rimasti estranei all'antifascismo e alla Resistenza". (da Repubblica, 22/4/09)

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domenica, febbraio 08, 2009

 

Tristezza e preoccupazioni

Gli ultimi avvenimenti che coinvolgono sig. Englaro (eroico: viene perseguitato - e da che pulpiti!- come un delinquente perchè si comporta lealmente e legalmente in una situazione dolorosa con ben pochi paragoni!) , il Presidente del Consiglio (che era stato paragonato a un caimano senza tenere conto delle sue capacità di comportarsi anche come uno sciacallo), il Papa e i suoi peggiori seguaci (no comment), il Presidente della Repubblica (corretto come sempre), il presente e il futuro di noi Italiani, mi danno una grande tristezza. Inoltre questa fulminea capacità di approfittare smaccatamente di un'occasione ritenuta favorevole per cercare di scardinare gli equilibri (necessari) tra i poteri dello Stato, aggiunge alla tristezza una buona dose di preoccupazioni.
Mi pare che l'articolo di Scalfari apparso oggi su Repubblica sintetizzi la situazione con grande chiarezza. Eccolo:


Non poteva esserci
scempio più atroce

di EUGENIO SCALFARI

IL CASO ENGLARO appassiona molto la gente poiché pone a ciascuno di noi i problemi della vita e della morte in un modo nuovo, connesso all'evolversi delle tecnologie. Interpella la libertà di scelta di ogni persona e i modi di renderla esplicita ed esecutiva. Coinvolge i comportamenti privati e le strutture pubbliche in una società sempre più multiculturale. Quindi impone una normativa per quanto riguarda il futuro che garantisca la certezza di quella scelta e ne rispetti l'attuazione.

Ma il caso Englaro è stato derubricato l'altro ieri da simbolo di umana sofferenza e affettuosa pietà ad occasione politica utilizzabile e utilizzata da Silvio Berlusconi e dal governo da lui presieduto per raggiungere altri obiettivi che nulla hanno a che vedere con la pietà e con la sofferenza. Non ci poteva essere operazione più spregiudicata e più lucidamente perseguita.

Condotta in pubblico davanti alle televisioni in una conferenza stampa del premier circondato dai suoi ministri sotto gli occhi di milioni di spettatori.
Non stiamo ricostruendo una verità nascosta, un retroscena nebuloso, una opinabile interpretazione. Il capo del governo è stato chiarissimo e le sue parole non lasciano adito a dubbi. Ha detto che "al di là dell'obbligo morale di salvare una vita" egli sente "il dovere di governare con la stessa incisività e rapidità che è assicurata ai governanti degli altri paesi".

Gli strumenti necessari per realizzare quest'obiettivo indispensabile sono "la decretazione d'urgenza e il voto di fiducia"; ma poiché l'attuale Costituzione semina di ostacoli l'uso sistematico di tali strumenti, lui "chiederà al popolo di cambiare la Costituzione".

La crisi economica rende ancor più indispensabile questo cambiamento che dovrà avvenire quanto prima.
Non ci poteva essere una spiegazione più chiara di questa. Del resto non è la prima volta che Berlusconi manifesta la sua concezione della politica e indica le prossime tappe del suo personale percorso; finora si trattava però di ipotesi vagheggiate ma consegnate ad un futuro senza precise scadenze. Il caso Englaro gli ha offerto l'occasione che cercava.
Un'occasione perfetta per una politica che poggia sul populismo, sul carisma, sull'appello alle pulsioni elementari e all'emotività plebiscitaria.

Qui c'è la difesa di una vita, la commozione, il pianto delle suore, l'anatema dei vescovi e dei cardinali, i disabili portati in processione, le grida delle madri. Da una parte. E dall'altra i "volontari della morte", i medici disumani che staccano il sondino, gli atei che applaudono, i giudici che si trincerano dietro gli articoli del codice e il presidente della Repubblica che rifiuta la propria firma per difendere quel pezzo di carta che si chiama Costituzione.

Quale migliore occasione di questa per dare la spallata all'odiato Stato di diritto e alla divisione dei poteri così inutilmente ingombrante? Non ha esitato davanti a nulla e non ha lesinato le parole il primo attore di questa messa in scena. Ha detto che Eluana era ancora talmente vitale che avrebbe potuto financo partorire se fosse stata inseminata. Ha detto che la famiglia potrebbe restituirla alle suore di Lecco se non vuole sottoporsi alle spese necessarie per tenerla in vita.

Ha detto che i suoi sentimenti di padre venivano prima degli articoli della Costituzione. E infine la frase più oscena: se Napolitano avesse rifiutato la firma al decreto Eluana sarebbe morta.

Eluana scelta dunque come grimaldello per scardinare le garanzie democratiche e radunare in una sola mano il potere esecutivo e quello legislativo mentre con l'altra si mette la museruola alla magistratura inquirente e a quella giudicante.

Questo è lo spettacolo andato in scena venerdì. Uno spettacolo che è soltanto il principio e che ci riporta ad antichi fantasmi che speravamo di non incontrare mai più sulla nostra strada.

Ci sono altri due obiettivi che l'uso spregiudicato del caso Englaro ha consentito a Berlusconi di realizzare.
Il primo consiste nella saldatura politica con la gerarchia vaticana; il secondo è d'aver relegato in secondo piano, almeno per qualche giorno, la crisi economica che si aggrava ogni giorno di più e alla quale il governo non è in grado di opporre alcuna valida strategia di contrasto.

Dopo tanto parlare di provvedimenti efficaci, il governo ha mobilitato 2 miliardi da aggiungere ai 5 di qualche settimana fa. In tutto mezzo punto di Pil, una cifra ridicola di fronte ad una recessione che sta falciando le imprese, l'occupazione, il reddito, mentre aumentano la pressione fiscale, il deficit e il debito pubblico. Di fronte ad un'economia sempre più ansimante, oscurare mediaticamente per qualche giorno l'attenzione del pubblico depistandola verso quanto accade dietro il portone della clinica "La Quiete" dà un po' di respiro ad un governo che naviga a vista.

Quando crisi ingovernabili si verificano, i governi cercano di scaricare le tensioni sociali su nemici immaginari. In questo caso ce ne sono due: la Costituzione da abbattere, gli immigrati da colpire "con cattiveria".

Il Vaticano si oppone a quella "cattiveria" ma ciò che realmente gli sta a cuore è mantenere ed estendere il suo controllo sui temi della vita e della morte riaffermando la superiorità della legge naturale e divina sulle leggi dello Stato con tutto ciò che ne consegue. Le parole della gerarchia, che non ha lesinato i complimenti al governo ed ha platealmente manifestato delusione e disapprovazione nei confronti del capo dello Stato ricordano più i rapporti di protettorato che quelli tra due entità sovrane e indipendenti nelle proprie sfere di competenza. Anche su questo terreno è in atto una controriforma che ci porterà lontani dall'Occidente multiculturale e democratico.

Nel suo articolo di ieri, che condivido fin nelle virgole, Ezio Mauro ravvisa tonalità bonapartiste nella visione politica del berlusconismo. Ha ragione, quelle somiglianze ci sono per quanto riguarda la pulsione dittatoriale, con le debite differenze tra i personaggi e il loro spessore storico.

Ci sono altre somiglianze più nostrane che saltano agli occhi. Mi viene in mente il discorso alla Camera di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925, cui seguirono a breve distanza lo scioglimento dei partiti, l'instaurazione del partito unico, la sua identificazione con il governo e con lo Stato, il controllo diretto sulla stampa. Quel discorso segnò la fine della democrazia parlamentare, già molto deperita, la fine del liberalismo, la fine dello Stato di diritto e della separazione dei poteri costituzionali.

Nei primi due anni dopo la marcia su Roma, Mussolini aveva conservato una democrazia allo stato larvale. Nel novembre del '22, nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, aveva esordito con la frase entrata poi nella storia parlamentare: "Avrei potuto fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli".

Passarono due anni e non ci fu neppure bisogno del bivacco di manipoli: la Camera fu abolita e ritornò vent'anni dopo sulle rovine del fascismo e della guerra.
In quel passaggio del 3 gennaio '25 dalla democrazia agonizzante alla dittatura mussoliniana, gli intellettuali ebbero una funzione importante.
Alcuni (pochi) resistettero con intransigenza; altri (molti) si misero a disposizione.

Dapprima si attestarono su un attendismo apparentemente neutrale, ma nel breve volgere di qualche mese si intrupparono senza riserve.
Vedo preoccupanti analogie. E vedo titubanze e cautele a riconoscere le cose per quello che sono nella realtà. A me pare che sperare nel "rinsavimento" sia ormai un vano esercizio ed una svanita illusione. Sui problemi della sicurezza e della giustizia la divaricazione tra la maggioranza e le opposizioni è ormai incolmabile. Sulla riforma della Costituzione il territorio è stato bruciato l'altro ieri.

E tutto è sciaguratamente avvenuto sul "corpo ideologico" di Eluana Englaro. Non ci poteva essere uno scempio più atroce.

(8 febbraio 2009)

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giovedì, ottobre 23, 2008

 

Viva la Scuola pubblica





Riporto l'articolo dell'amico Bruno Giorgini, sull'Università, quella bolognese in particolare, per IL DOMANI di Bologna. Quel che dice vale in larga misura anche per la scuola. L'abolizione del valore legale dei titoli di studio, la modifica del reclutamento e il finanziamento alla scuola privata (confessionale), tre fiorellini in contrasto alla costituzione che erano già presenti, ben intrecciati e nascosti nella ghirlanda del ministro Moratti, mi pare si profilino minacciosi dietro il più immediato "mazzo" della Gelmini. Ogni nazione civile e moderna ha il massimo interesse a sviluppare un sistema di formazione di qualità; lasciarlo in abbandono e/o appaltarlo ad agenzie e apparati "di parte" è un suicidio. il consenso finora ottenuto anche in questo campo fa pensare con tristezza alle nostre sorti. La speranza sta nel finora...


VIVA L'UNIVERSITA' PUBBLICA
Ci sono state le prime manganellate a Milano. E' sperabile siano le
ultime, e ciascuno dovrebbe adoprarsi per questo. A meno di non
considerare l'universita' (e l'intero sistema scolastico) come una
discarica da militarizzare. Forse e' questo il pensiero, inconscio ci
auguriamo ma a volte l'inconscio fa brutti scherzi, che sottende la
sortita del cavalier sull'uso della polizia per sedare le proteste: le
scuole, le universita', gli enti di ricerca (INFN, CNR, ENEA, ecc..)
sono discariche piene di rifiuti da smaltire, studenti, maestri,
docenti, ricercatori, cominciando dai precari. Per cui o lo smaltimento
avviene con le buone oppure, trattandosi di un'emergenza rifiuti, e'
lecito militarizzare come gia' accaduto a Napoli e dintorni. Eppure,
polizia o non polizia, il problema scagliato nel mare magnum della
societa' italiana dai cortei, dalle occupazioni, dalle lezioni in piazza
non e' eludibile. Si tratta di discutere e decidere se possa e debba
esistere in Italia una universita' pubblica che: 1. garantisca il
diritto allo studio dei giovani scolarizzati, 2. pratichi una didattica
di qualita', 3.offra un titolo di studio con un valore riconosciuto sul
mercato del lavoro e della produzione, 4. sia una authority scientifica
, riferimento per l'intera societa' civile, 5. sia motore, con gli enti
di ricerca, di progetti di ricerca e sviluppo (R&D) locali,
territoriali, nazionali, europei, 6. sia governata in modo democratico e
trasparente, e non corporativo e/o baronale. Si badi bene, non sono
punti propri della sinistra (una delle ossessioni del cav.). Nella
vicina Francia ciascuno, sia cittadino o governante, di destra o di
sinistra, li da' per scontati. Cola' gli studenti non pagano tasse e
godono di molti sconti, a partire dal buon affitto fino a lle borse di
studio copiose che qui neanche possiamo immaginarle. Ne' ci sono
universita' private, alcuna. E alla universita' e ricerca quel paese
dedica piu' o meno il doppio in risorse rispetto a noi. Ma non basta: e'

notizia di questi giorni (in piena crisi economico finanziaria) che il
governo (di destra) francese ha deciso uno stanziamento eccezionale di
dieci (10) miliardi di euro in cinque anni per dieci centri
universitari, scelti da una commissione internazionale e destinati a
diventare poli d'eccellenza. Notevole e' che, oltre all'ovvia Parigi
centro, figuri nell'elenco reso pubblico Parigi Aubervilliers, cioe' una
universita' della banlieu profonda, povera, immigrata e ribelle che a
Sarkozy gli tira i sassi. Signora Gelmini potrebbe valutare la
differenza tra queste iniziative di un governo di destra e i tagli da
lei, e dal ministro Tremonti, proposti e disposti? Lo stesso e' in
Germania, in Olanda , in Spagna e, seppure con alcune diversita', in
Gran Bretagna (GB). Anzi proprio li' il governo Blair mise al primo
posto la scolarizzazione di massa con uno slogan che si pu' tradurre
con: ogni lavoratore dev'essere laureato, ogni laureato dev'essere un
lavoratore. E oggi in GB oltre il 44% della forza lavoro attiva ha una
laurea . In ogni paese dell'occidente, ma ormai del mondo intero, la
formazione, la conoscenza e la ricerca vengono considerati valori
primari di pubblica utilita' sociale e economica. Soltanto da noi,
quando c'e' da fare un prestito a Alitalia morente, i soldi si prendono
dai fondi per la ricerca, e anche per soddisfare le richieste dei
camionisti si pesca nei bilanci delle universita', perche' il governo
Prodi, sebbene piu' educato e con maggiore concertazione coi soggetti
coinvolti, non ha svolto una politica di sviluppo della scuola e della
ricerca, anzi. E fu questo uno dei motivi non minori della delusione,
quasi avesse il Professore segato il ramo su cui stava seduto. Ma,
tornando all'oggi, qualcuno sospetta che il governo e Gelmini vogliano
affamare l'universita' pubblica per aprire la strada alle universita'
private. Non credo proprio: la Bocconi tanto decantata si trova nella
classifica del Times oltre le prime quattrocento, lo stesso per la
Cattolica di Milano, mentre le altre si perdono nella nebbia (la nostra
Alma Mater pubblica e' prima delle italiane a quota 193, quasi un
miracolo viste le condizioni). Quando poi si parla di USA. si dimentica
che Mac Cain e Obama i loro faccia a faccia li fanno nelle universita',
davanti a centinaia di studenti, ricercatori, docenti. Le universita'
USA, private o pubbliche, sono cioe' authority riconosciute e spazi
pubblici aperti al dibattito critico politico, sociale, culturale e
scientifico. altro che Bruno Vespa e i salotti televisivi che ci
impestano dal piccolo schermo, luogo di vuotaggini e puro spettacolo
della vanita', parente stretta della vacuitas, come diceva il filosofo.
Insomma da tempo tutti hanno capito che la scuola e l'universita' sono
anche palestre di convivenza civile, cioe' luoghi politici primari di
educazione civile nonche' potenti mscolatori sociali tra etnie, culture,
usi, costumi, linguaggi, nazionalita', colori e suoni, persino i
politici piu' ottusi, ovunque salvoin Italia. Certo l'universita' deve
mostrare una grande capacita' di autoriforma in piu'
direzioni, e farlo in pubblica piazza, cosi' come oggi avvengono le
lezioni. Ovvero, per esempio, rendere pubbliche aperte a tutti i
cittadini le sedute del senato accademico, come e' per tutte le
istituzioni elettive democratiche, dal Parlamento al consiglio di
quartiere. Le porte devono essere non aperte, spalancate. E, se la
montagna non va a Maometto, Maometto vada alla montagna: il Rettore si
rechi pellegrino in consiglio comunale, provinciale, regionale a dire, a
raccontare propositi, progetti, meriti, difetti, chissa', prima o poi
qualche orecchio potrebbe aprirsi, tanto piu' oggi. In altra forma,
perche' non pensare a una inaugurazione dell'anno accademico durante la
quale i professori togati e tutti gli altri presenti si muovano in una
processione laica per la conoscenza fino alla nostra Piazza Grande.
Moltre altre cose ancora vanno inventate, perche' bisogna non solo e non
tanto convincere un governo riottoso alle ragioni della conoscenza e
della ricerca, ma una intera societa' che finora ha fatto mostra di
disinteressarsi assai di scuola e universita'. Siamo solo all'inizio e
la strada sara' lunga, nonche' accidentata. Con una ultima cosa: sarebbe
bello e buono che la nostra Alma Mater si impegnasse in modo solenne a
non aumentare le tasse per nessuna ragione. si spenga piuttosto il
riscaldamento, ma non si tagli ulteriormente il gia' magro diritto allo
studio.
PS Nella crisi finanziaria e' nato un neologismo:il bankster (da
banchiere e gangster). Scriveva Keynes:l'amore del denaro come
possesso...e' una patologia piuttoto disgustosa, una di quelle
inclinazioni semi-criminali o semi-patologiche che si affidano con un
brivido agli specialisti di malattie mentali.

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mercoledì, ottobre 01, 2008

 

Un "ripasso" con Cordero: dall'immunità al pm inerte

Prima di leggere l'articolo del 30/09 è interessante riguardare quello del 17/09 sempre di Cordero su Repubblica, con il titolo:

dall' immunità al pm inerte
Repubblica — 17 settembre 2008 pagina 36 sezione: COMMENTI - FRANCO CORDERO

Re lanterna punta diritto l' obiettivo e mani cortigianesche convertono gli ordini in formule più o meno tecniche: pretendeva l' immunità, fuori d' ogni decente visione politica, regola morale, grammatica giuridica, e due Camere servili gliela votano (rimane da stabilire quanto valga); il séguito era chiaro. Cantori pseudoliberal maledicono l' azione penale obbligatoria invocando «carriere separate», ossia un pubblico ministero agli ordini del governo. Idea vecchia, risale agli anni ottanta, quando B. Craxi voleva premunirsi avendo scheletri nell' armadio; se fosse riuscito, forse regnerebbe ancora il Caf, con un signor B. estraneo alla commedia politica e molto meno ricco. Siccome ne parlano anche i poco informati, sferrando tanti più pugni sul tavolo quanto meno sanno, conviene avere sotto gli occhi una breve storia. Nei secoli cosiddetti bui l' arnese giudiziario è uno solo, qualunque sia la lite: eredità, vendita d' un bue inidoneo all' aratro, percosse, lesioni, omicidio, ecc.; le parti se la risolvono mediante duelli, ordalie, giuramenti (li riabilita l' attuale presidente del Consiglio quando chiama folgori sulla testa dei figli, qualora fosse colpevole). Il processo nasce dalla domanda. L' interessato agisce se vuole. Questo meccanismo implica individui sovrani. L' avvento d' una res publica distingue le materie: nel diritto privato regna l' autonomia; norme penali tutelano interessi indisponibili e qui l' offeso non è attore necessario; la macchina repressiva scatta da sola. Tra XII e XIII secolo emergono due modelli, insulare e continentale: giurie inglesi d' accusa (ventiquattro teste) aprono dibattimenti culminanti nei verdetti d' un consesso che ne conta dodici, mentre sul continente la metamorfosi inquisitoria dissolve le parti; degli addottorati lavorano ex officio. Il pubblico ministero è neomorfismo francese, utile perché rompe la figura autistica con profitto del giudizio: i procureurs du Roi diventano padroni dell' azione, non avendo poteri istruttori; gli uffici attuali discendono dall' ordinamento napoleonico. Salta agli occhi un particolare italiano: nei codici 1865, 1913, 1930, ha l' obbligo d' agire sebbene «rappresenti il potere esecutivo presso l' autorità giudiziaria», diretto dal ministro; i virtuosi ignorano l' ordine iniquo, correndo dei rischi perché mancano garanzie. In teoria le norme contano più del governo: dal 1914 l' attore pubblico convinto che il processo sia superfluo, non può astenersene tout court, deve chiedere l' assenso del giudice istruttore; e l' azione resta obbligatoria nel codice fascista, dove i mancati processi subiscono un controllo cosiddetto gerarchico. Alfredo Rocco, architetto del regime, aveva scrupoli legalitari. Meno inibiti, i fautori d' una soi-disante «moderna democrazia» sotterrano anche l' idolo verbale. L' antietica al potere richiede meccanismi penali regolabili dal governo secondo un variabile tornaconto, dove entrano partiti, clan, logge, cosche, confraternite, famiglie, persone: viene comodo nella prospettiva d' un lungo dominio (finché duri l' autocrate, scomparso o affiochito il quale, saranno spettacolo da basso impero le guerre dei diadochi, speriamo senza effusione cruenta), ma è più facile dirlo che riuscirvi; nonostante il decerebramento mediatico, l' Italia non pare pronta agli affari penali disponibili come diritti reali o crediti; qui vale una fisiologica autonomia privata, là corrono false giustizie selettive, con soperchierie, privilegi, licenze, occhi riguardosamente chiusi; amministratori corrotti scavano enormi buchi nei bilanci mangiando denaro pubblico e nessuno li tocca, mentre va sulla graticola l' onesto antipatico ai boiardi. Inoltre la riforma appare complessa: che l' azione sia obbligatoria, non lo dicono solo norme codificate; l' hanno scritto i costituenti (art. 112); e le revisioni costituzionali seguono percorsi laboriosi col rischio d' uno scacco nell' eventuale referendum (art. 138). Osso duro, dunque, senonché i berluscones non sono mai a corto d' espedienti, spesso grossolani, nello stile degl' imbonitori da fiera: li tirano fuori dalla bisaccia presupponendo un pubblico infantile; «ha 11 anni», anzi meno, insegna l' Infallibile; e recitano impassibili, né sa d' autoironia lo sguardo spento. Nel pensatoio forzaitaliota qualcuno, non ricordo chi, fabulava d' un pubblico ministero imbeccato dalla polizia, cieco e monco: ridotto a pura ugola o mano scrivente, non ha cognizioni dirette; opera su quel che raccontano investigatori eventualmente manovrati dal vertice politico; e il governo stabilisce chi perseguire. Ecco quadrato il circolo. Idea grottesca ma Sua Maestà, la corte e relative platee hanno bocca buona. L' attuale guardasigilli l' ha esumata: i truccatori le stanno intorno; la pettinano e imbellettano; cosmesi lunga, passerà un mese prima che venga alla ribalta. Il colpo geniale corre voce che sia un filtro delle notitiae criminis: pubblico ministero inerte come l' automa al quale manca la corrente; gliela inietta il rapporto poliziesco (parola ignota all' attuale codice, pour cause: vi ha sostituito «denuncia»); e attendibili congetture prospettano un art. 347, c. 1, da cui cada l' inciso «senza ritardo» (così ora bisogna informarlo). Aspettiamo la revenante. Sarà l' ennesimo capitolo nello scibile dei mostri: quante volte ho nominato Ulisse Aldrovandi, raccoglitore d' una casistica spesso fiabesca; le cronache attuali indicano fenomeni corpulenti. Comunque la trucchino, l' estinta resterà tale. Norme simili nascono morte, finché viga l' attuale Carta o il Partito della cosiddetta libertà non infiltri otto fedeli nella Corte competente. Avvertimento inutile: hanno il passo dei sonnambuli sul tetto, ma diversamente dal sonnambulo ogni tanto cadono, vedi l' autore della strepitosamente invalida legge che rendeva inappellabili i proscioglimenti [avv. Gaetano Pecorella, nota del gufo], futuro giudice alla Consulta, pronosticano gl' intenditori, lui e l' ex comunista, [on. Luciano Violante, nota del gufo] presidente della Camera nell' infausta XIII legislatura, ora severo censore del costume togato. Lo dicono solidale con i forzaitalioti sulle redini da stringere al requirente e ha spiegato come lo voglia: seraficamente inattivo finché gli servano un rapporto; non è affare suo cercare notitiae criminis. Sommessamente distinguerei: niente da obiettare quando nobildonne russe sparano all' amante fedifrago (capitava nella Belle Epoque, donde famosi dibattimenti); solo un pubblico ministero mattoide va en quête preventiva d' eventi simili; nelle indagini contro boss mafiosi o politicanti corrotti, invece, grida vendetta l' idea d' una immobilità coatta su ogni ipotesi storica non ancora riferita dalla polizia. Se varca il limite, cosa capita? Buttiamo via i materiali raccolti, farina del diavolo? Varrà la pena discuterne in termini seri. Male studiata, la procedura penale talvolta figlia sgorbi, non ancora a questo livello teratologico. Sub divo Berluscone è prudente l' avverbio.

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martedì, luglio 15, 2008

 

San Rossore...

... è il luogo dove a distanza di 70 anni dalle leggi razziali fasciste è stato pubblicato il Manifesto degli scienziati antirazzisti

un sano rossore dovrebbe però anche colorare le guance di chi, dimentico dell'art. 3 della Costituzione (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese), non inorridisce di fronte al profilarsi di discriminazioni come la schedatura dei rom (bambini inclusi!)

clicca per leggere il manifesto antirazzista
clicca per aderire al manifesto antirazzista

clicca per vedere il manifesto razzista degli studiosi fascisti (docenti universitari) del 1938

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mercoledì, luglio 09, 2008

 

Perchè tirare in ballo il papà, "in modo mafioso"?

Trovo giusto riportare il comunicato di Paolo Guzzanti, tratto dal blog del padre di Sabina, dopo l'intervento di quest'ultima a Piazza Navona.
Perchè:
(detto tra parentesi non condivido le cose dette da Sabina riportate dai giornali, ma credo alla libertà di parola di tutti, attori e giornalisti inclusi, il che vale anche per qualche "perlina reazionaria" che il padre, giornalista oltre che parlamentare, infilza nel suo stesso post)
gufo

"Quando ieri ho letto da uno dei vostri post il comunicato del ministro Carfagna che mi chiamava in causa per nome e cognome e che - come nei Paesi arabi - affidava l’identità di Sabina Guzzanti a quella di suo padre (”Chi risponde di questa donna?” In fondo non si tratta che di una donna), sono allibito e poi mi ha preso un attacco di furia che mi ha impedito di dormire.

Al mattino ho voluto verificare se quelle parole per caso se le fossero inventate le agenzie, ma non era così: la ministra e il suo staff avevano pensato bene di tirarmi in ballo in un modo che io - e so che molti di voi non sono d’accordo - considero mafioso: “bada, Sabina Guzzanti, che tuo padre è dei nostri, non dimticartelo…. Bada, Paolo Guzzanti, che non dimentichiamo che Sabina Guzzanti è tua figlia”.

Ciò per un liberale e uomo libero è imperdonabile. Ragion per cui ho emesso un comunicato di fuoco che ho rilasciato alle agenzie, dopo essermi accertato con lo staff del ministro che il mio nome era stato incluso con l’assenso del ministro, però “con le migliori intenzioni”.

In politica non esistono migliori intenzioni, ma esistono i fatti.

Ecco il mio comunicato nella versione diramata dall’Ansa:

NON CONDIVIDO SUE OPINIONI, MA NO A INTIMIDAZIONE
“P.NAVONA:GUZZANTI,SONO FURIBONDO PER NOTA MINISTERO CARFAGNA

(ANSA) - ROMA, 9 LUG - ”Sono furibondo e indignato per il comunicato emesso dal ministero delle Pari Opportunita’, con cui si annuncia l’intenzione di querelare Sabina Guzzanti e in cui la stessa Sabina Guzzanti viene individuata non come la persona individuale che e’ ma come ‘la figlia del parlamentare di Forza Italia Paolo Guzzanti”’. E’ Paolo Guzzanti, deputato di Fi e padre dell’attrice a stigmatizzare il riferimento fatto ieri dal ministero guidato da Mara Carfagna nell’annunciare la querela contro sua figlia.

”Cio’ costituisce un gravissimo atto di mistificazione e di oggettiva intimidazione, che respingo con disgusto - aggiunge Paolo Guzzanti - Le opinioni e le espressioni di Sabina Guzzanti non formano oggetto di rapporto di parentela ma, visto che la parentela viene tirata in ballo, esprimo a mia figlia Sabina, di cui non condivido tutte le opinioni, la mia solidarieta’ di fronte al miserabile tentativo di deprezzare e disprezzare la
sua e la mia identita’ personale e politica”.(ANSA).

Quanto a Sabina: non condivido il suo linguaggio e i suoi argomenti ma riconosco che lei usa un sistema di comunicazione che è volto ad un segmento della sinistra italiana. La comunicazione è comunicazione. Se Berlusconi dice che chi non vota per lui è un coglione, noi difendiamo il suo diritto a dirlo e discettiamo sulla parola coglione per due anni.

Se Sabina dice quel che dice, fa comunicazione anche lei
. Il suo scopo è quello di inventare un partito che non esiste ed esserne un leader, forse IL leader.
Se riuscirà, avrà avuto ragione. Se non riuscirà, sarà punita dai fatti."

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sabato, luglio 05, 2008

 

Il lodo Alfano e la Costituzione

Da la Repubblica:
L'APPELLO / Cento costituzionalisti contro il lodo Alfano
Una raccolta di firme in difesa della Costituzione
Lodo e processi rinviati
strappo all'uguaglianza

Cento costituzionalisti in campo contro il lodo-Alfano che sospende i processi delle quattro più alte cariche istituzionali e contro la norma blocca-processi. Il documento è intitolato "In difesa della Costituzione" ed è firmato da ordinari di diritto costituzionale e discipline equivalenti: tra essi gli ex presidenti della Consulta Valerio Onida, Gustavo Zagrebelsky e Leopoldo Elia. A coordinare la raccolta di firme è stato Alessandro Pace, presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti.

I sottoscritti professori ordinari di diritto costituzionale e di discipline equivalenti, vivamente preoccupati per le recenti iniziative legislative intese: 1) a bloccare per un anno i procedimenti penali in corso per fatti commessi prima del 30 giugno 2002, con esclusione dei reati puniti con la pena della reclusione superiore a dieci anni; 2) a reintrodurre nel nostro ordinamento l'immunità temporanea per reati comuni commessi dal Presidente della Repubblica, dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Presidenti di Camera e Senato anche prima dell'assunzione della carica, già prevista dall'art. 1 comma 2 della legge n. 140 del 2003, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2004, premesso che l'art. 1, comma 2 della Costituzione, nell'affermare che "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione", esclude che il popolo possa, col suo voto, rendere giudiziariamente immuni i titolari di cariche elettive e che questi, per il solo fatto di ricoprire cariche istituzionali, siano esentati dal doveroso rispetto della Carta costituzionale, rilevano, con riferimento alla legge di conversione del decreto legge n. 92 del 2008, che gli artt. 2 bis e 2 ter introdotti con emendamento a tale decreto, sollevano insuperabili perplessità di legittimità costituzionale perché: a) essendo del tutto estranei alla logica del cosiddetto decreto-sicurezza, difettano dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall'art. 77, comma 2 Cost. (Corte cost., sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008); b) violano il principio della ragionevole durata dei processi (art. 111, comma 1 Cost., art. 6 Convenzione europea dei diritti dell'uomo); c) pregiudicano l'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.), in conseguenza della quale il legislatore non ha il potere di sospendere il corso dei processi, ma solo, e tutt'al più, di prevedere criteri - flessibili - cui gli uffici giudiziari debbano ispirarsi nella formazione dei ruoli d'udienza; d) la data del 30 giugno 2002 non presenta alcuna giustificazione obiettiva e razionale; e) non sussiste alcuna ragionevole giustificazione per una così generalizzata sospensione che, alla sua scadenza, produrrebbe ulteriori devastanti effetti di disfunzione della giustizia venendosi a sommare il carico dei processi sospesi a quello dei processi nel frattempo sopravvenuti; rilevano, con riferimento al cosiddetto lodo Alfano, che la sospensione temporanea ivi prevista, concernendo genericamente i reati comuni commessi dai titolari delle sopra indicate quattro alte cariche, viola, oltre alla ragionevole durata dei processi e all'obbligatorietà dell'azione penale, anche e soprattutto l'art. 3, comma 1 Cost., secondo il quale tutti i cittadini "sono eguali davanti alla legge".

Osservano, a tal proposito, che le vigenti deroghe a tale principio in favore di titolari di cariche istituzionali, tutte previste da norme di rango costituzionale o fondate su precisi obblighi costituzionali, riguardano sempre ed esclusivamente atti o fatti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni. Per contro, nel cosiddetto lodo Alfano ... (segue)

per firmare l'appello clicca qui

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mercoledì, aprile 09, 2008

 

Elezioni 2008. Davvero tutti uguali?

Se i due partiti maggiori sono uguali perchè votare? o, nel migliore dei casi, perchè non votare partiti minori (fino a ieri satelliti più o meno riottosi dei maggiori)? così il termine "Veltrusconi" ha fatto la sua comparsa per additare "l'inciucio" (orrida parola) agli elettori.
Ma è vero? Basta guardare la lettera di Veltroni (vedi sotto) dopo l'offensiva di Bossi e la replica del destinatario: 'Irricevibile da un erede del Pci” (Geniale risposta, molto originale! Ma che "ch'azzecca"? il PCI, co-fondatore della Repubblica, ha da sempre difeso la Costituzione) . O la proposta del Cavaliere: 'Sottoporre i pm a esami periodici di sanità mentale'”. O la dichiarzione del fedele Dell'Utri: "troppa Resistenza (ma lui usa l'iniziale minuscola), riscriveremo i libri di storia”, lo stesso candidato, eminenza grigia del PdL, che non esita a "riabilitare" un altro fedelissimo, lo stalliere Mangano, un "eroe" condannato all'ergastolo.
Allora, davvero tutti uguali?

La lettera di Veltroni

«Caro Berlusconi,

mi rivolgo a lei perchè penso si debba condividere, da italiani prima ancora che da candidati alla guida del paese, una sincera preoccupazione, resa tale da recenti atti e dichiarazioni politiche. E perché credo sia giusto e doveroso assumere, di fronte al popolo italiano, a tutti i cittadini, un impegno di chiarezza su alcune grandi questioni di principio, questioni che chiamerei di lealtà repubblicana.

Non penso ovviamente agli aspetti legati ai nostri programmi di governo, questi sono, e devono essere, distinti e alternativi, lasciati al libero confronto politico, come avviene nelle grandi democrazie. Saranno gli italiani a giudicare la bontà delle nostre proposte, la loro concretezza, la loro attuabilità. e chi guadagnerà un solo voto in più, è la mia convinzione che voglio ribadire ancora una volta, avrà il compito e l'onore di governare l'Italia, sulla base proprio del suo programma.

L'impegno che le chiedo e che io sono in grado di assumere con assoluta determinazione riguarda altro, riguarda di più, perchè ha a che fare con la vita, l'identità e le istituzioni del paese; con le basi stesse della nostra convivenza civile, con i valori che la presiedono e che in sessant'anni di storia repubblicana hanno permesso all'Italia di diventare la grande nazione che è, uno dei pilastri della nuova Europa.

Le chiedo allora se è disposto a garantire formalmente e in modo vincolante che lo schieramento da lei guidato, quale che sia il suo futuro ruolo, di opposizione o di maggioranza, non verrà mai meno in alcun modo e rispetterà sempre con convinzione questi quattro fondamentali principi: la difesa dell'unità nazionale, che è il bene più prezioso che abbiamo, il legame che ci fa sentire italiani e orgogliosi di esserlo; il rifiuto di ogni forma di violenza, attuata o anche solo predicata, e per questo portatrice di divisione e di odio; la fedeltà ai principi contenuti nella prima parte della nostra costituzione, fedeltà che non solo non contraddice, ma dovrà guidare, ogni impegno di adeguamento della seconda parte della carta; il riconoscimento e il rispetto della nostra storia, della nostra identità nazionale e dei suoi simboli, a cominciare dal tricolore e dall'inno di Mameli.

Gli italiani, su tutto questo, hanno il diritto di avere risposte e certezze. E chi, alla guida del governo o dell'opposizione, si appresta ad assumere le più grandi responsabilità, ha il dovere di assicurare tutto il suo impegno per garantirle, sapendo che prima di ogni altra cosa, al di sopra di ogni interesse di parte, c'è il bene comune, ci sono gli interessi nazionali».

Cordiali saluti,
Walter Veltroni

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