giovedì, giugno 29, 2006

 

2001-2006, potente Altan!

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sabato, giugno 24, 2006

 

Fidiamoci di CIAMPI, sempre esemplare! da Repubblica

"L'ho già detto pubblicamente, e non ho mai avuto dubbi: andrò a votare al referendum, perché sono un cittadino italiano. E voterò "no", per difendere la nostra Costituzione, che è bella, è viva e più attuale che mai". Nel giorno della qualificazione della nazionale italiana ai mondiali di calcio, e a due giorni dal referendum sulla riforma del Polo, che riscrive ben 54 articoli della nostra Carta fondamentale, in casa Ciampi circola un'aria di sano "patriottismo costituzionale", secondo la felice definizione di Jurgen Habermas rilanciata ieri su questo giornale da Pietro Scoppola e sul "Corriere della Sera" da Claudio Magris.

L'ex presidente della Repubblica non fa mistero della sua soddisfazione per la vittoria degli azzurri, ma non nasconde la sua preoccupazione per i ripetuti tentativi, sempre più frequenti in queste ultime ore, di politicizzare e insieme svalorizzare la Costituzione. Di piegarla a strumento di propaganda politica. Di farne un uso "congiunturale", di parte e di partito.

"Lo sapete - ripete ancora una volta Carlo Azeglio Ciampi - nel corso del mio settennato la Costituzione è sempre stata la mia Bibbia civile. E continuerà ad esserlo". Per questo il predecessore di Giorgio Napolitano al Quirinale è più che mai convinto di dover votare no al "colpo di spugna" voluto dal centrodestra nella passata legislatura. Per questo l'attuale senatore a vita non raccoglie l'ultima provocazione lanciata da Silvio Berlusconi, che aveva definito "indegno" chi non voterà sì a quella sedicente "riforma".


"Per carità - si schernisce adesso Ciampi - a queste parole non voglio rispondere. Non voglio entrare in questa polemica, anche perché mi pare che chi l'ha sollevata sia già stato costretto ad autosmentirla". Ci tiene, il presidente emerito, a non farsi travolgere dal chiacchiericcio del teatrino politico. A mantenere un profilo alto, istituzionale. Ma non per questo intende rinunciare ad esprimere il suo giudizio sull'oggetto del referendum, che resta fortemente negativo. "E il mio è un no ragionato, non un no acritico", conferma Ciampi, che sulla questione sta studiando da tempo, e ha maturato una convinzione che gli deriva dai pareri e dagli scritti dei più importanti giuristi italiani.

Secondo Ciampi, il "pacchetto" di modifiche costituzionali messo insieme dalla Casa delle Libertà - come ha detto l'ex presidente della Consulta Valerio Onida - rischia in effetti di "minare il funzionamento delle istituzioni". Lo confermano i più grandi costituzionalisti italiani, a partire da Gustavo Zagrebelski fino ad arrivare a Andrea Manzella. Lo ha ribadito, proprio in questi ultimi giorni, Francesco Paolo Casavola. "Andate a rileggere quello che ha scritto sul 'Mattino' di Napoli - commenta Ciampi - e capirete perché non si può non votare no a questo referendum".

Di quell'articolo, uscito sul quotidiano partenopeo martedì scorso, l'ex Capo dello Stato condivide dalla prima all'ultima riga. A partire da una premessa fondamentale: la riforma del Polo, passata con la formula della revisione costituzionale prevista dall'articolo 138 della stessa Carta, è di fatto illegittima. Il testo approvato dalla Cdl, infatti, mira a cambiare la forma di Stato e di governo, ma così facendo viola l'articolo 139 della stessa Costituzione: "La forma repubblicana - c'è scritto - non può essere oggetto di revisione costituzionale".

Questo "istituto", secondo l'articolo 138, era stato pensato dai costituenti per introdurre modifiche "puntuali e circoscritte" della nostra Costituzione. La riforma del Polo è invece una riscrittura radicale, confusa e contraddittoria, della Carta del '48. Qui sta il rimando fondamentale, e di metodo, che Ciampi fa allo scritto di Casavola: "Passare dallo Stato unitario allo Stato federale, dal governo parlamentare al premierato che non ha contrappesi né nel presidente della Repubblica né nel Parlamento, non si può con revisione della Costituzione, perché la Costituzione lo vieta".

Meglio di così non si poteva dire. E a chi obietta perché Ciampi, quand'era sul Colle, abbia dato via libera e abbia promulgato questo inaccettabile stravolgimento della sua "Bibbia civile", l'ex Capo dello Stato risponde a tono: "Anche questa - dice - è una polemica strumentale. Quel testo, dopo la sua quarta approvazione parlamentare, non è mai passato al Quirinale. E' stato pubblicato direttamente sulla Gazzetta Ufficiale, perché gli italiani potessero poi richiedere il referendum confermativo. E dunque non è mai transitato né sulla mia scrivania, né su quella dei miei uffici giuridici".

Se in via del tutto ipotetica questo fosse stato permesso dalle procedure costituzionali, l'ex presidente della Repubblica non avrebbe esitato ad opporre il suo "no" alla promulgazione dell'ennesimo strappo legislativo voluto dal centrodestra, dopo la Gasparri sulle tv, la Castelli sulla giustizia e la Cirielli sulla prescrizione. Perché a Ciampi, anche nel merito, questa riforma sembra inaccettabile. Il senatore a vita non vuole addentrarsi nei dettagli. Ma ancora una volta invita alla lettura dell'articolo di Casavola.

La devolution non farà altro che privare il cittadino del principio di uguaglianza di fronte a beni essenziali come la salute, l'istruzione, la sicurezza, "disponibili solo da quell'unico sovrano che è la Nazione". Il premierato "forte" significa solo "l'uscita dal principio delle democrazie costituzionali", secondo cui "ogni potere è bilanciato da un altro potere". Ciampi l'ha detto più volte nel corso del suo settennato, ed oggi ne è ancora più convinto: "La nostra Costituzione è viva e attuale, perché in essa gli italiani si riconoscono ogni giorno".

Questo non vuol dire che l'ex Capo dello Stato appartenga alla schiera dei cultori del "dogma dell'inviolabilità della Costituzione". Nel corso del suo settennato ha ripetuto più volte, e oggi ne è ancora più convinto, che si possa anche "pensare di ritoccarla, di fare delle correzioni, ma nel rispetto della sua essenza". E purché se ne rispetti il "valido telaio sul quale operare le modifiche necessarie in un mondo che cambia, senza disperderne i principi e i valori fondamentali". Insomma, Ciampi rifiuta lo schema demagogico e ideologico di chi, sul versante dell'attuale opposizione, oggi sostiene che votare sì al referendum significa essere "progressisti e moderni", mentre votare no equivale a qualificarsi come "vecchi e conservatori".

"Le modifiche alla Costituzione - ragiona in queste ore l'ex Capo dello Stato - sono possibili nei limiti previsti dall'articolo 138 combinato con l'articolo 139". Modifiche di portata più ampia, come ha detto durante la sua permanenza sul Colle e come continua a dire anche oggi, "non possono essere affidate solamente ad una parte, sostenendo che vi è una maggioranza che ha i voti e le fa passare a tutti i costi, salvo poi fare ricorso al referendum finale del cittadino". E comunque qualunque modifica dovrebbe assicurare "la coerenza e la funzionalità del quadro costituzionale, nel suo insieme e in tutte le sue parti".

E' esattamente questa, la coerenza che manca al disegno "pseudo - riformatore" della Cdl. Che invece, come afferma Casavola e come conviene Ciampi, mira solo a "scambiare per Costituzione un'autorizzazione a governare, per interessi congiunturali o particolari". Ecco perché, una volta di più, il senatore a vita, domenica prossima, scriverà sulla scheda il suo no. Un no che non vuole chiudere, ma semmai aprire una fase di confronto. Rimettere in moto un processo di revisione coerente con i valori irrinunciabili di uno Stato costituzionale. Ci ha lavorato per sette anni, purtroppo inutilmente. Far dialogare i due poli, per garantire una "difesa dinamica dei nostri valori costituzionali".

Quel dialogo andrebbe ripreso. Il no al referendum lo consente, il sì rischia di precluderlo per sempre. Sarebbe il peggiore dei mali, secondo Ciampi, convinto insieme a Casavola che "la Costituzione non è di destra né di sinistra, ma è di tutti e per tutti". Si finisce da dove tutto era cominciato: "patriottismo costituzionale". Non c'è altra formula, per descrivere le parole e i pensieri di Ciampi alla vigilia del referendum. C'è giusto il tempo, prima del voto di domenica prossima, per brindare al raddoppio di Inzaghi contro la Repubblica Ceca. "Bella partita", commenta il senatore a vita.
Allora, forza Italia. Ciampi sorride, ci pensa un attimo e poi aggiunge: "Sì, sì, forza Italia. Ma non equivochiamo: lo dico in senso calcistico".

(23 giugno 2006

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venerdì, giugno 16, 2006

 

E intanto la RAI.... Sartori lo spiega bene


La scelta oscurataReferendum: se per la Rai va tutto bene di Giovanni Sartori

Tanto tuonò che piovve. A quanto pare il mio editoriale sul referendum in televisione del 13 maggio ha tanto tuonato da scatenare una grandinata. Il grandinatore massimo è l’ex ministro delle Riforme Calderoli che dichiara che io sono «come Moggi», che «mento sapendo di mentire ». Come Moggi proprio no: io sono più bello. E poi come fa il nostro a sapere che so di mentire? È anche indovino? Legge nel mio animo? Io indovino non sono, però so che io non ho nessun interesse a mentire, mentre Calderoli sì: se perde rischia di dover tornare all’odontoiatria. Ma anche Calderisi e Taradash ci vanno con la mano pesante. Sartori, dichiarano, «racconta bugie colossali», perché non è vero che nella riforma costituzionale del 2001 la sinistra aveva eliminato il bicameralismo perfetto e incluso la riduzione del numero dei parlamentari. Povero me. Scrivo un pezzo per spiegare che il quesito referendario non chiede ai votanti un paragone tra il 2001 e il 2005 (ma invece di soppesare i pro e i contro del testo del 2005), e la nostra coppietta mi accusa proprio di questo e dimentire su questo. Invece, e ovviamente, io faccio riferimento alle proposte della sinistra nella successiva legislatura, a cominciare dal disegno di legge (al Senato) n.ro 2320 dell’11 giugno 2003 nel quale si propone un Senato federale che superi «le incongruenze e gli appesantimenti dell’attuale bicameralismo perfetto», e una riduzione dei senatori a 200 (invece di 252) e dei deputati a 400 (invece di 518). Potrei citare altri testi. Ma già si intende che le «bugie colossali » sono di altri, non mie.
Tanto tuonò che piovve. Ma c’è anche il detto inverso: tuonò parecchio, ma non piovve per niente. In barba ai miei tuoni il consiglio di amministrazione della Rai mi fa sapere che tutto è ben fatto e va bene così. Questo «non ricevere» è stato votato, si noti, all’unanimità, e quindi anche dalla sinistra. Il che mi lascia impavido, visto che per me le costituzioni non sono né di destra né di sinistra (dal che consegue che farei le stesse riserve se il testo fosse di D’Alema-Fassino). Però mi fa specie che ai «sinistri» in Rai sfugga che il No è promosso dai loro. Vogliono perdere? Se lo meriterebbero. Torno a spiegare. Il mio argomento è che un referendum deve strutturare una scelta; e il mio lamento è che la Rai non lo fa. La Rai illustra il testo del Polo; un testo che incorpora, ovviamente, le tesi del Polo. E le controtesi? Le critiche? Non ci sono. La Rai sostiene invece che ci sono, perché dopo il suo raccontino intervengono un sinistro e un destro con pistolotti prefabbricati di 10-30 secondi. Ma le spade non si incrociano mai. Uno dice che il popolo comanderà, l’altro che la devolution costa troppo.
I due interventi non si controbattono, possono essere entrambi faziosi, e quindi lasciano il tempo che trovano. Quel che non capisco è se i vertici Rai fanno le gattemorte, oppure se proprio non sanno come fare meglio. Il messaggio che di fatto arriva al pubblico dal servizio pubblico è che il Polo vuole cambiare, vuole un governo forte e durevole, vuolemeno costi e meno parlamentari, e così via di belluria in belluria. Invece i fautori del No cosa vogliono e cosa propongono? La Rai tace e non spiega che i due fronti vogliono entrambi le suddette bellurie, ma con metodi e strumenti diversi. I votanti indecisi questo lo sanno? Dalla Rai assolutamente no.
16 giugno 2006 (di Giovanni Sartori, dal Corriere della Sera)

gufo concorda appieno: le scelte vanno spiegate

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martedì, giugno 13, 2006

 

REFERENDUM COSTITUZIONALE: leggi, partecipa, vota!


Cari amici, come sapete il 25 e il 26 giugno si potrà votare per confermare o meno, mediante referendum, le consistenti modifiche (50 articoli cambiati + 3 nuovi) apportate alla Costituzione dal vecchio Parlamento su iniziativa dell’allora Presidente del Consiglio. Data l’importanza dell’argomento – la Carta Costituzionale, come a suo tempo la Magna Charta, “non conosce sovrani”! – ho voluto documentarmi per evitare un voto “viscerale”. Ho consultato fonti del Sì e fonti del No e letto entrambi i testi e propongo qui le riflessioni che mi sembrano più importanti.

1. La rappresentanza. I parlamentari rappresentano ancora la Nazione ed esercitano sempre le funzioni “senza vincolo di mandato”. Cosa giusta, spesso ignorata nei comportamenti, ma valida comunque per tutti indistintamente. Tuttavia nella nuova camera dei deputati (unica perché l’attuale senato, pur fatto da eletti su base regionale, è soppresso), questi non godono degli stessi diritti. Solo i deputati appartenenti alla maggioranza possono votare la “sfiducia costruttiva”, evitare lo scioglimento delle camere e indicare un nuovo Primo Ministro da impegnare sul programma della maggioranza. I deputati dell’opposizione non hanno diritto di voto. Altro che rappresentare la Nazione!

2. I poteri. Solo un buon equilibrio dei poteri è garanzia di un buon funzionamento delle istituzioni, (persino nel gioco del poker non esiste una combinazione di carte sicuramente vincente!), ma nella nuova Carta si manifesta uno sbilanciamento rilevante. È la camera, e non viceversa, ad avere bisogno della fiducia del Primo Ministro; questi può imporre lo scioglimento al Presidente della Repubblica, che perde l’autonoma di questa facoltà. Inoltre si profilano conflitti di competenza interni al potere legislativo, con l’istituzione del Senato Federale (questa discutibile camera legifera solo in materie non riservate allo Stato o alle Regioni, ma non è indipendente dal Governo che può imporre modifiche alle sue leggi) e la conseguente soppressione del sistema bicamerale. Ci saranno leggi varate della camera, dal senato, leggi bicamerali, leggi del senato modificate dal governo, proposte di modifica del senato a leggi della camera, commissioni e comitati paritetici per il contenzioso in materia… bella semplificazione! Altri squilibri derivano dal rafforzamento della componente politica del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale.

3. La chiarezza. Ho sempre avuto caro il mio libricino 1095 collezione legale di Pirola con il testo della Costituzione. Un testo anche molto difficile, ma chiaro, molto più chiaro e sintetico delle leggi ordinarie, come ci si aspetta della Legge delle Leggi. Pensiamo a esempio alle nove parole dell’art. 70: la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere. Il nuovo art. 70, vi risparmio il testo, è fatto da 585 parole, con 11 rinvii a 9 diversi articoli della costituzione stessa, comma vari, e una serie di precisazioni e distinzioni, sempre all’insegna della semplicità, naturalmente!

4. I valori. La Costituzione è per definizione una Legge che traduce i valori fondanti di una società in criteri generali che regolino la vita futura della collettività, al di là delle diverse situazioni contingenti che potranno emergere. Sono valori vivi che tutelano i diritti e la libertà dei cittadini, senza discriminazioni di alcun tipo; sono valori universali e democratici pensati per il futuro di tutti. Nella nostra Carta essi ispirano in particolare la I parte, che apparentemente non verrebbe toccata dalle modifiche proposte. Ma è proprio vero? Nella passata legislatura ho assistito, abbiamo assistito, ad attacchi insistenti ai valori di solidarietà, anche internazionale, che hanno riferimenti in articoli della prima parte della Costituzione. I criteri di progressività del prelievo fiscale (art. 53), l’indipendenza e la laicità dello stato (articoli 7, 8, 19), gli ideali internazionali (art. 11) sono stati messi in discussione. Con la concentrazione dei poteri nelle mani di una sola persona, sancita dall’elezione diretta e dalle modifiche oggi introdotte e non condivise né concordate con l’opposizione, risultano ancora più minacciati.

5. L’anacronismo. Le prime critiche alla Carta Costituzionale erano dettate dai disagi che viveva la Prima Repubblica, prima del crollo, ed erano conseguenze di difetti non necessariamente attribuibili alla costituzione. Le critiche di allora erano: Esecutivo debole rispetto al Parlamento; troppi “inciuci” tra maggioranza e opposizione; troppe lungaggini ostruzionistiche e troppo potere di ricatto e di veto da parte di partiti e partitini. Oggi assistiamo all’opposto: il Parlamento soccombe davanti ai voti di fiducia al Governo e ai suoi maxi-emendamenti onnicomprensivi; la maggioranza nega con arroganza il dialogo con l’opposizione in nome di un’investitura ingiustificata (dalla Costituzione); i tempi dei lavori parlamentari sono regolati e contingentati in forma assai stretta e i partiti, i partiti basta guardare come sono ridotti… a caccia esasperata di consensi.

6. La devolution. Con questo nome poco italiano e ancor meno lombardo viene presentata la modifica proposta. Il significato sembra essere quello di venire incontro alle esigenze di decentramento volute dalla Lega Nord di Bossi, con attribuzione di competenze alle regioni. Questo aspetto è presente, ma con un peso non paragonabile a quello dell’accentramento dei poteri già descritto. Sono ribadite le competenze regionali in materia di salute, istruzione e sicurezza (corpi armati), e a mio parere si affacciano pericoli di “dissolution” dello Stato (se poi si considera che nelle norme transitorie è anche possibile far nascere nuove Regioni, con referendum riservato ai soli cittadini “secessionisti”!). Si ha invece la certezza di un frastagliarsi di provvedimenti locali che renderanno meno omogenei alcuni diritti e servizi ai cittadini italiani. Più vicina all’idea di devolution è la famigerata riforma del Titolo V operata unilateralmente (un brutto precedente!) dal centro sinistra nell’altra legislatura, che, va ricordato, si basava sull’assenso espresso dall’allora opposizione (Lega, FI, AN, UDC) su questi argomenti in commissione bicamerale (istituita con apposita legge, 70 membri, tutte le componenti rappresentate), prima che quest’ultima venisse politicamente affossata.

7. Il metodo. Basterebbe da solo a determinare una scelta. Se è vero che la Costituzione deve essere il riferimento normativo e valoriale per tutti, sembra logico che la sua elaborazione spetti a tutti (i rappresentanti in nome dei rappresentati) e che la sua approvazione debba essere la più ampia possibile. Così non è stato: le modifiche di oggi si devono all’attività redazionale di 4 persone di parte (Lega, FI, AN, UDC), mentre la Costituente del 1946-47 era composta da 556 rappresentanti di tutte le componenti; abbiamo assistito a una prova di forza ingiustificata, a una riforma costituzionale presentata come parte di un programma elettorale (inaudito) e all’esibizione dell’alibi fornito dal precedente della riforma unilaterale del Titolo V, fatta dal centro sinistra, di fronte a ragionevolissime obiezioni. (vedi punto 6). Sono convinto che tra tutte le contraddizioni del provvedimento, questa, di metodo, sia anche la più importante e pesante. Una Costituzione non fondata sul contributo e sul consenso di tutte le componenti di una collettività è una contraddizione in sé, una negazione del concetto stesso di Costituzione. Non si vede in alcun modo come possa sostituirsi alla Carta che i Costituenti hanno elaborato con sforzi, discussioni e obiettivi di ben altra consistenza portata e lungimiranza.

8. Il condivisibile. Possibile che tutto vada male in questa riforma? Possibile, possibile, certamente possibile per il metodo. Ma, detto questo, nel merito potrebbero esserci parti condivisibili. Personalmente ho trovato due elementi che meritano attenzione. Uno è l’apprezzabile, a mio parere, ri-attribuzione allo Stato di competenze importanti in materia di ordinamenti generali sulla tutela della salute, sicurezza su lavoro, distribuzione dell’energia, a esempio. L’altro è la riduzione del numero dei parlamentari che viene presentata come meritoria forma di risparmio. In questo senso potrebbe essere condivisibile, tuttavia sono oscuri i criteri adottati per questa riduzione, che in ogni caso dovrebbe diventare operativa nel quinquennio 2011-2016, salvo elezioni anticipate (probabili se vincessero i Sì). Ci sono altre proposte di riduzione ispirate a criteri di funzionalità e rappresentatività e non dovrebbe mancare il tempo per poter approfondire e concordare il provvedimento in uno spirito costituzionalista. O no?

Per quanto sopra ho maturato la decisione di partecipare al referendum votando NO. Mi auguro che le prossime possibili modifiche costituzionali vengano effettuate con spirito costituzionalista!
Spero anche di non aver fatto cosa sgradita, con queste mie lunghe considerazioni, e vi chiedo di andare a votare, e votare NO, se la pensate come me. Grazie.
gufo

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gufangolo

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