martedì, ottobre 28, 2008

 

Ultime notizie!



















Monza, Ospedale San Gerardo. Oggi 28/10/2008 alle ore 09.51 è nata GIULIA!
Eccola qui ritratta a quasi due ore dalla nascita
Congratulazioni a mamma Alessandra e papà Alessandro!

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giovedì, ottobre 23, 2008

 

Viva la Scuola pubblica





Riporto l'articolo dell'amico Bruno Giorgini, sull'Università, quella bolognese in particolare, per IL DOMANI di Bologna. Quel che dice vale in larga misura anche per la scuola. L'abolizione del valore legale dei titoli di studio, la modifica del reclutamento e il finanziamento alla scuola privata (confessionale), tre fiorellini in contrasto alla costituzione che erano già presenti, ben intrecciati e nascosti nella ghirlanda del ministro Moratti, mi pare si profilino minacciosi dietro il più immediato "mazzo" della Gelmini. Ogni nazione civile e moderna ha il massimo interesse a sviluppare un sistema di formazione di qualità; lasciarlo in abbandono e/o appaltarlo ad agenzie e apparati "di parte" è un suicidio. il consenso finora ottenuto anche in questo campo fa pensare con tristezza alle nostre sorti. La speranza sta nel finora...


VIVA L'UNIVERSITA' PUBBLICA
Ci sono state le prime manganellate a Milano. E' sperabile siano le
ultime, e ciascuno dovrebbe adoprarsi per questo. A meno di non
considerare l'universita' (e l'intero sistema scolastico) come una
discarica da militarizzare. Forse e' questo il pensiero, inconscio ci
auguriamo ma a volte l'inconscio fa brutti scherzi, che sottende la
sortita del cavalier sull'uso della polizia per sedare le proteste: le
scuole, le universita', gli enti di ricerca (INFN, CNR, ENEA, ecc..)
sono discariche piene di rifiuti da smaltire, studenti, maestri,
docenti, ricercatori, cominciando dai precari. Per cui o lo smaltimento
avviene con le buone oppure, trattandosi di un'emergenza rifiuti, e'
lecito militarizzare come gia' accaduto a Napoli e dintorni. Eppure,
polizia o non polizia, il problema scagliato nel mare magnum della
societa' italiana dai cortei, dalle occupazioni, dalle lezioni in piazza
non e' eludibile. Si tratta di discutere e decidere se possa e debba
esistere in Italia una universita' pubblica che: 1. garantisca il
diritto allo studio dei giovani scolarizzati, 2. pratichi una didattica
di qualita', 3.offra un titolo di studio con un valore riconosciuto sul
mercato del lavoro e della produzione, 4. sia una authority scientifica
, riferimento per l'intera societa' civile, 5. sia motore, con gli enti
di ricerca, di progetti di ricerca e sviluppo (R&D) locali,
territoriali, nazionali, europei, 6. sia governata in modo democratico e
trasparente, e non corporativo e/o baronale. Si badi bene, non sono
punti propri della sinistra (una delle ossessioni del cav.). Nella
vicina Francia ciascuno, sia cittadino o governante, di destra o di
sinistra, li da' per scontati. Cola' gli studenti non pagano tasse e
godono di molti sconti, a partire dal buon affitto fino a lle borse di
studio copiose che qui neanche possiamo immaginarle. Ne' ci sono
universita' private, alcuna. E alla universita' e ricerca quel paese
dedica piu' o meno il doppio in risorse rispetto a noi. Ma non basta: e'

notizia di questi giorni (in piena crisi economico finanziaria) che il
governo (di destra) francese ha deciso uno stanziamento eccezionale di
dieci (10) miliardi di euro in cinque anni per dieci centri
universitari, scelti da una commissione internazionale e destinati a
diventare poli d'eccellenza. Notevole e' che, oltre all'ovvia Parigi
centro, figuri nell'elenco reso pubblico Parigi Aubervilliers, cioe' una
universita' della banlieu profonda, povera, immigrata e ribelle che a
Sarkozy gli tira i sassi. Signora Gelmini potrebbe valutare la
differenza tra queste iniziative di un governo di destra e i tagli da
lei, e dal ministro Tremonti, proposti e disposti? Lo stesso e' in
Germania, in Olanda , in Spagna e, seppure con alcune diversita', in
Gran Bretagna (GB). Anzi proprio li' il governo Blair mise al primo
posto la scolarizzazione di massa con uno slogan che si pu' tradurre
con: ogni lavoratore dev'essere laureato, ogni laureato dev'essere un
lavoratore. E oggi in GB oltre il 44% della forza lavoro attiva ha una
laurea . In ogni paese dell'occidente, ma ormai del mondo intero, la
formazione, la conoscenza e la ricerca vengono considerati valori
primari di pubblica utilita' sociale e economica. Soltanto da noi,
quando c'e' da fare un prestito a Alitalia morente, i soldi si prendono
dai fondi per la ricerca, e anche per soddisfare le richieste dei
camionisti si pesca nei bilanci delle universita', perche' il governo
Prodi, sebbene piu' educato e con maggiore concertazione coi soggetti
coinvolti, non ha svolto una politica di sviluppo della scuola e della
ricerca, anzi. E fu questo uno dei motivi non minori della delusione,
quasi avesse il Professore segato il ramo su cui stava seduto. Ma,
tornando all'oggi, qualcuno sospetta che il governo e Gelmini vogliano
affamare l'universita' pubblica per aprire la strada alle universita'
private. Non credo proprio: la Bocconi tanto decantata si trova nella
classifica del Times oltre le prime quattrocento, lo stesso per la
Cattolica di Milano, mentre le altre si perdono nella nebbia (la nostra
Alma Mater pubblica e' prima delle italiane a quota 193, quasi un
miracolo viste le condizioni). Quando poi si parla di USA. si dimentica
che Mac Cain e Obama i loro faccia a faccia li fanno nelle universita',
davanti a centinaia di studenti, ricercatori, docenti. Le universita'
USA, private o pubbliche, sono cioe' authority riconosciute e spazi
pubblici aperti al dibattito critico politico, sociale, culturale e
scientifico. altro che Bruno Vespa e i salotti televisivi che ci
impestano dal piccolo schermo, luogo di vuotaggini e puro spettacolo
della vanita', parente stretta della vacuitas, come diceva il filosofo.
Insomma da tempo tutti hanno capito che la scuola e l'universita' sono
anche palestre di convivenza civile, cioe' luoghi politici primari di
educazione civile nonche' potenti mscolatori sociali tra etnie, culture,
usi, costumi, linguaggi, nazionalita', colori e suoni, persino i
politici piu' ottusi, ovunque salvoin Italia. Certo l'universita' deve
mostrare una grande capacita' di autoriforma in piu'
direzioni, e farlo in pubblica piazza, cosi' come oggi avvengono le
lezioni. Ovvero, per esempio, rendere pubbliche aperte a tutti i
cittadini le sedute del senato accademico, come e' per tutte le
istituzioni elettive democratiche, dal Parlamento al consiglio di
quartiere. Le porte devono essere non aperte, spalancate. E, se la
montagna non va a Maometto, Maometto vada alla montagna: il Rettore si
rechi pellegrino in consiglio comunale, provinciale, regionale a dire, a
raccontare propositi, progetti, meriti, difetti, chissa', prima o poi
qualche orecchio potrebbe aprirsi, tanto piu' oggi. In altra forma,
perche' non pensare a una inaugurazione dell'anno accademico durante la
quale i professori togati e tutti gli altri presenti si muovano in una
processione laica per la conoscenza fino alla nostra Piazza Grande.
Moltre altre cose ancora vanno inventate, perche' bisogna non solo e non
tanto convincere un governo riottoso alle ragioni della conoscenza e
della ricerca, ma una intera societa' che finora ha fatto mostra di
disinteressarsi assai di scuola e universita'. Siamo solo all'inizio e
la strada sara' lunga, nonche' accidentata. Con una ultima cosa: sarebbe
bello e buono che la nostra Alma Mater si impegnasse in modo solenne a
non aumentare le tasse per nessuna ragione. si spenga piuttosto il
riscaldamento, ma non si tagli ulteriormente il gia' magro diritto allo
studio.
PS Nella crisi finanziaria e' nato un neologismo:il bankster (da
banchiere e gangster). Scriveva Keynes:l'amore del denaro come
possesso...e' una patologia piuttoto disgustosa, una di quelle
inclinazioni semi-criminali o semi-patologiche che si affidano con un
brivido agli specialisti di malattie mentali.

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venerdì, ottobre 10, 2008

 

Verso lo sciopero della scuola. Riflessioni di Clotilde Pontecorvo.

La scuola italiana sta subendo una "semplificazione" incredibile. Il format propagandistico è sempre lo stesso e il ministro Gelmini è riuscito a guadagnare consensi. Una reazione a questo stato di cose si vede nella dichiarazione di sciopero. si vedrà quanto estesa e compatta sarà la protesta, comunque doverosa. Ho trovato nel pregevole Blog "vistasulmare.splinder.com" il seguente articolo. Le riflessioni di una studiosa che non ha bisogno di presentazioni e certo conosce i problemi della scuola meglio del ministro (ahimè).


E' SEMPLICE SMONTARE UNA SCUOLA CHE FUNZIONA
Clotilde Pontecorvo

Ringrazio Shalom che mi ha chiesto un contributo sulla famigerata riforma di settembre del Ministro Maria Stella Gelmini, la quale colpisce e ferisce la funzionalità della scuola primaria, che è, insieme alla scuola dell'infanzia, uno dei migliori segmenti del nostro sistema scolastico, con molte punte di eccellenza, tanto che gli allievi italiani di quarta primaria risultano i migliori in Europa, secondo i più recenti studi comparativi internazionali. Ma non sembra affatto che la motivazione del Ministro sia stata quella di migliorare la scuola primaria. Gli interventi sono motivati essenzialmente da ragioni finanziarie: togliendo ad una buona scuola, che è quella che pone le basi cognitive, emotive e sociali della partecipazione attiva e consapevole alla vita associata, le risorse umane e organizzative che le consentono di bene operare.

Leggendo le due paginette del Decreto n.137 con cui il Ministro scombussola l'attuale funzionamento della scuola primaria, con un metodo del tutto autocratico, senza porsi alcun problema di consultazione di associazioni professionali o di possibili esperti, si resta a dir poco sconcertati, senza che ci sia alcun riferimento a presunte difficoltà o disagi e senza nessun argomento educativo. Il riferimento è solo alla finanziaria, come se la scuola assorbisse una grande parte del PIL (che, di fatto, era del 3% nel 1997 ed è diventato del 2,8 nel 2007). L'analisi che ne ha fatto Berselli nell'Espresso del 25 scorso è azzeccata: nei provvedimenti della Gelmini c'è l'idea berlusconiana che i problemi complessi si affrontano con delle operazioni di grande semplificazione, con in più la patina del "ritorno al buon tempo antico", che alletta molto il buon senso dei reazionari. Il ritorno all'ordine e alle buone maniere sarebbe garantito dal recupero del grembiule, che in alcune scuole peraltro non è mai stato lasciato come scelta della comunità scolastica, ma che come ha scritto giustamente il grande ex-maestro Mario Lodi (sull'Unità del 28 agosto) il grembiule può anche far pensare che i bambini di una certa classe siano tutti eguali, mentre sono tutti e sempre molto diversi. Ed è di questa diversità che la scuola si deve fare carico e che è senza dubbio uno dei punti di forza della nostra attuale scuola primaria: la quale è una scuola accogliente, che ha consentito una buona integrazione degli allievi disabili, con la presenza dell'insegnante di sostegno e la riduzione del numero degli alunni per classe laddove è presente un allievo portatore di una disabilità certificata. Ma il problema nuovo, di cui il Ministro Gelmini sembra del tutto inconsapevole, è il grande numero di studenti di lingua e di cultura diversa da quella italiana che sono oggi presenti nella scuola, in particolare nella scuola di base. E che soprattutto nella scuola dell'infanzia prima e poi nella scuola primaria, possono trovare lo spazio comunicativo e il tempo per poter padroneggiare la nostra lingua e la nostra cultura, in cui la presenza di più figure di insegnanti è fondamentale per consentire un dialogo ravvicinato.

Dal punto di vista del metodo, colpisce il fatto che si sia voluto introdurre con Decreto Legge delle "disposizioni urgenti" in materia di istruzione, per impedire qualsiasi possibilità di dibattito parlamentare, mascherandolo nell'incipit con la "straordinaria necessità di attivare percorsi di istruzione di insegnamenti relativi alla cultura della legalità ed al rispetto dei principi costituzionali" come se non esistesse fin dal 1960 l'insegnamento dell'educazione civica in tutto il sistema scolastico, che semmai poteva essere solo richiamato in forma diversa. A ciò si aggiunge la ripresa del voto di condotta, come strumento di repressione di comportamenti inadeguati.
La distanza dell'attuale Ministro da qualsiasi problematica formativa è dimostrata da questa ingenuità, che trascura del tutto il ruolo della relazione educativa come mezzo essenziale per la costruzione della personalità sociale e civile dello studente.
Sembra che il nostro attuale Ministro sia del tutto insensibile a qualsiasi elaborazione culturale di tipo educativo: non solo non ha forse mai letto "Poema pedagogico" di Makarenko, ma nemmeno "Democrazia e educazione" di John Dewey, e ignora completamente i contributi di Mario Lodi, Bruno Ciari, Don Milani o Maria Luisa Bigiaretti, o del più recente "Mestiere di maestro" di Marco Rossi Doria e dell'esperienza dei "maestri di strada" e del progetto Chance di Napoli.

Per non dire poi della reintroduzione del voto in decimi, come "certificazione delle competenze", che è invece una pura illusione numerica, perché, come ha scritto Benedetto Vertecchi, le valutazioni si possono esprimere in tanti modi (aggettivi, lettere, o sequenze di numeri diversi) ma corrispondono comunque sempre a un giudizio comparativo, e non hanno nulla a che fare con una misurazione quantitativa precisa. L'espressione decimale dà un'illusione di precisione, ma forse serve a rassicurare genitori e nonni che si ritorna alla loro "vecchia" scuola. Di fatto il giudizio degli insegnanti corrisponde a una possibile graduatoria che colloca i singoli allievi in rapporto agli altri. E questo spiega anche l'impossibilità di confrontare seriamente voti assegnati da insegnanti diversi, in particolare se collocati in contesti educativi diversi. La reintroduzione dei decimi serve a far credere che si stia effettivamente misurando qualcosa di molto preciso (negando tutta la riflessione docimologica). La cosa ancora più grave è che non si passa alla classe successiva (nella scuola primaria e media) se si ha una insufficienza anche in una sola disciplina. E siccome non ci sono esami di riparazione nella scuola dai 6 ai14 anni, l'unica soluzione (si fa per dire) è quella della bocciatura. Una possibilità non troppo peregrina, proprio per i diversi, per i bambini e ragazzi, che vengono da famiglie culturalmente svantaggiate, in particolare per quelli provenienti da altre culture linguistiche: che magari, se indiani o cinesi, sono brillanti in matematica, ma possono avere temporanee difficoltà nell'italiano scritto. E si capisce che il "giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall'alunno" (che è pure citato nel Decreto n.137, art.3, comma1) è pura retorica rispetto al dettato dello stesso art.3, al comma 3.
Verrebbe la voglia di consigliare al Ministro di leggere la "Lettera ad una professoressa" di Don Lorenzo Milani, per capire come può essere una scuola che promuove, cioè che fa crescere le persone entro un contesto culturale definito dalla tradizione storico-letteraria, artistico-musicale e scientifica e dalle prospettive tecnologiche più attuali.

L'aspetto del Decreto Gelmini che ha più colpito l'opinione pubblica è quella della drastica riduzione dell'orario della scuola primaria a ventiquattro ore settimanali, con relativo "maestro unico" (nei media, declinato al maschile, non considerando che i maschi sono solo il 5% degli insegnanti). Si ritorna al docente tuttologo, che la legge del 1985 avevo reso plurimo e specializzato. Qui posso riportare la mia testimonianza diretta, di chi ha fatto parte della Commissione Fassino di allora, numerosa e composita, con pedagogisti, psicologi, ma con molti esperti disciplinari (matematici, linguisti, storici, esperti di lingue straniere, di arte, di musica e movimento). Lo scopo primario unificante era, in primo luogo, per noi quello di dare una nuova base culturale alla scuola primaria che, ancora nel 1982, era rimasta alla definizione fascista del 1928: "il fondamento e il coronamento dell'istruzione elementare è la religione cristiana nella forma della tradizione cattolica". Il secondo scopo è stato quello di realizzare un sostanziale allargamento dell'alfabetizzazione culturale, offerta al livello primario. Una motivazione profonda era quello di creare un maggior nesso di continuità tra la scuola primaria e la scuola media, dopo l'istituzione della scuola media unica, anche perché ancora più del 10% degli allievi venivano bocciati in prima media. Lo sforzo collettivo dei commissari è stato quello di offrire una più ampia gamma di sollecitazione culturale a tutti i bambini e le bambine della scuola primaria, non solo introducendo nel curricoli nuovi ambiti disciplinari, quali l'immagine e l'espressione, la musica e il movimento, la lingua straniera, ma anche e soprattutto, per allungare i tempi della scuola per tutti, prevedendo tre insegnanti su due classi, ma anche limitandone il numero quando la scuola aveva dimensioni ridotte. La presenza di più insegnanti è stata determinata dall'esigenza di avere insegnanti meglio specializzati in uno o più ambiti disciplinari, che solo in minima misura hanno poche ore di compresenza in una stessa classe, per consentire la realizzazione di lavori di gruppo o il rapporto individualizzato tra una docente e uno o due allievi. Come ci hanno fatto capire le insegnanti in questo periodo, in articoli, interviste, incontri pubblici, lo scambio tra le docenti in riferimento a un singolo allievo, soprattutto se problematico per qualche aspetto educativo (sociale emotivo o cognitivo), è di grande aiuto per gli adulti ma anche per i bambini, che non solo possono riuscire in un ambito meglio che in un altro, ma che soprattutto riescono a stabilire una relazione educativa con una docente meglio che con un'altra.

Questo è un valore e una grande ricchezza dell'attuale scuola primaria, che può porre le basi solide per lo sviluppo successivo, sociale e accademico, di tutti i bambini e le bambine, il cui destino si gioca proprio nei primi anni di scuola, in termini sia di capacità sia di motivazione, in quella fase, che include anche la scuola dell'infanzia, in cui serve una particolare attenzione per lo sviluppo dell'autonomia e della libertà di pensiero.

Clotilde Pontecorvo
Professore di Psicologia dell'Educazione, Università di Roma1

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mercoledì, ottobre 01, 2008

 

stiamo diventando un paese razzista.

Curzio Maltese, dopo l'ultimo episodio di razzismo (a Parma) ci ricorda gli effetti sciagurati del decreto Maroni e il clima culturale miserabile e pericoloso in cui l'Italia sta scivolando, complice la stessa televisione di Stato. Ecco l'articolo.

IL FRUTTO AVVELENATO DELLA TOLLERANZA ZERO di Curzio Maltese

A Parma, nella civile Parma, la polizia municipale ha massacrato di botte un giovane ghanese, Emmanuel Bonsu Foster, e ha scritto sulla sua pratica la spiegazione: “negro”.

Davano la caccia agli spacciatori e hanno trovato Emmanuel, che non è uno spacciatore, è uno studente.
Anzi è uno studente che gli spacciatori li combatte.
Stava cominciando a lavorare come volontario in un centro di recupero dei tossici.

Ma è bastato che avesse la pelle nera per scatenare il sadismo dei vigili, calci, pugni, sputi al “negro”.
Parma è la stessa città dove qualche settimana fa era stata maltrattata, rinchiusa e fotografata come un animale una prostituta africana.

L’ultimo caso di inedito razzismo all’italiana pone due questioni, una limitata e urgente, l’altra più generale.
La prima è che non si possono dare troppi poteri ai sindaci.
Il decreto Maroni è stato in questo senso una vera sciagura. La classe politica nazionale italiana è mediocre, ma spesso il ceto politico locale è, se possibile, ancora peggio.
Delegare ai sindaci una parte di poteri, ha significato in questi mesi assistere a un delirio di norme incivili, al grido di “tolleranza zero”.
In provincia come nelle metropoli, nella Treviso o nella Verona degli sceriffi leghisti, come nella Roma di Alemanno e nella Milano della Moratti.
A Parma il sindaco Pietro Vignali, una vittima della cattiva televisione, ha firmato ordinanze contro chiunque, prostitute e clienti, accattoni e fumatori (all’aperto!), ragazzi colpevoli di festeggiare per strada.
Si è insomma segnalato, nel suo piccolo, nel grande sport nazionale: la caccia al povero cristo.
Sarà il caso di ricordare a questi sceriffi che nella classifica dei problemi delle città italiane la sicurezza legata all’immigrazione non figura neppure nei primi dieci posti.
I problemi delle metropoli italiane, confrontate al resto d’Europa, sono l’inquinamento, gli abusi edilizi, le buche nelle strade, la pessima qualità dei servizi, il conseguente e drammatico crollo di presenze turistiche eccetera eccetera. Oltre naturalmente alla penetrazione dell’economia mafiosa, da Palermo ad Aosta, passando per l’Emilia.
I sindaci incompetenti non sanno offrire risposte e quindi si concentrano sui “negri”. Nella speranza, purtroppo fondata, di raccogliere con meno fatica più consensi.

Di questo passo, creeranno loro stessi l’emergenza che fingono di voler risolvere.

Provocazioni e violenze continue non possono che evocare una reazione altrettanto intollerante da parte delle comunità di migranti.
Al funerale di Abdoul, il ragazzo ucciso a Cernusco sul Naviglio non c’erano italiani per testimoniare solidarietà. A parte un grande artista di teatro, Pippo Del Bono, che ha filmato la rabbia plumbea di amici e parenti.
La guerra agli immigrati è una delle tante guerre tragiche e idiote che non avremmo voluto. Ma una volta dichiarata, bisogna aspettarsi una reazione del “nemico”.

L’altra questione è più generale, è il clima culturale in cui sta scivolando il Paese, senza quasi accorgersene.
Nel momento stesso in cui si riscrive la storia delle leggi razziali, nell’urgenza di rivalutare il fascismo, si testimonia quanto il razzismo sia una malapianta nostrana.
L’Italia è l’unica nazione civile in cui nei titoli di giornali si usa ancora specificare la provenienza soltanto per i delinquenti stranieri: rapinatore slavo, spacciatore marocchino, violentatore rumeno.
Poiché oltre il novanta per cento degli stupri, per fare un esempio, sono compiuti da italiani, diventa difficile credere a una forzatura dovuta all’emergenza.
L’altra sera, da Vespa, tutti gli ospiti italiani cercavano di convincere il testimone del delitto di Perugia che “nessuno ce l’aveva con lui perché era negro”.

Negro? Si può ascoltare questo termine per tutta la sera da una tv pubblica occidentale?

Non lo eravamo e stiamo diventando un paese razzista.
Così almeno gli italiani vengono ormai percepiti all’estero.
Forse non è vero. Forse la caccia allo straniero è soltanto un effetto collaterale dell’immensa paura che gli italiani povano da vent’anni davanti al fenomeno della globalizzazione.
La paura e, perché no?, la vergogna si sentirsi inadeguati di fronte ai grandi cambiamenti, che si traduce nel più facile e abietto dei sentimenti, l’odio per il diverso.

La nostalgia ridicola di un passato dove eravamo tutti italiani e potevamo quindi odiarci fra di noi.
In questo clima culturale miserabile perfino un sindaco di provincia o un vigile di periferia si sentono depositari di un potere di vita o di morte su un “negro”.
(da Repubblica)

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Un "ripasso" con Cordero: dall'immunità al pm inerte

Prima di leggere l'articolo del 30/09 è interessante riguardare quello del 17/09 sempre di Cordero su Repubblica, con il titolo:

dall' immunità al pm inerte
Repubblica — 17 settembre 2008 pagina 36 sezione: COMMENTI - FRANCO CORDERO

Re lanterna punta diritto l' obiettivo e mani cortigianesche convertono gli ordini in formule più o meno tecniche: pretendeva l' immunità, fuori d' ogni decente visione politica, regola morale, grammatica giuridica, e due Camere servili gliela votano (rimane da stabilire quanto valga); il séguito era chiaro. Cantori pseudoliberal maledicono l' azione penale obbligatoria invocando «carriere separate», ossia un pubblico ministero agli ordini del governo. Idea vecchia, risale agli anni ottanta, quando B. Craxi voleva premunirsi avendo scheletri nell' armadio; se fosse riuscito, forse regnerebbe ancora il Caf, con un signor B. estraneo alla commedia politica e molto meno ricco. Siccome ne parlano anche i poco informati, sferrando tanti più pugni sul tavolo quanto meno sanno, conviene avere sotto gli occhi una breve storia. Nei secoli cosiddetti bui l' arnese giudiziario è uno solo, qualunque sia la lite: eredità, vendita d' un bue inidoneo all' aratro, percosse, lesioni, omicidio, ecc.; le parti se la risolvono mediante duelli, ordalie, giuramenti (li riabilita l' attuale presidente del Consiglio quando chiama folgori sulla testa dei figli, qualora fosse colpevole). Il processo nasce dalla domanda. L' interessato agisce se vuole. Questo meccanismo implica individui sovrani. L' avvento d' una res publica distingue le materie: nel diritto privato regna l' autonomia; norme penali tutelano interessi indisponibili e qui l' offeso non è attore necessario; la macchina repressiva scatta da sola. Tra XII e XIII secolo emergono due modelli, insulare e continentale: giurie inglesi d' accusa (ventiquattro teste) aprono dibattimenti culminanti nei verdetti d' un consesso che ne conta dodici, mentre sul continente la metamorfosi inquisitoria dissolve le parti; degli addottorati lavorano ex officio. Il pubblico ministero è neomorfismo francese, utile perché rompe la figura autistica con profitto del giudizio: i procureurs du Roi diventano padroni dell' azione, non avendo poteri istruttori; gli uffici attuali discendono dall' ordinamento napoleonico. Salta agli occhi un particolare italiano: nei codici 1865, 1913, 1930, ha l' obbligo d' agire sebbene «rappresenti il potere esecutivo presso l' autorità giudiziaria», diretto dal ministro; i virtuosi ignorano l' ordine iniquo, correndo dei rischi perché mancano garanzie. In teoria le norme contano più del governo: dal 1914 l' attore pubblico convinto che il processo sia superfluo, non può astenersene tout court, deve chiedere l' assenso del giudice istruttore; e l' azione resta obbligatoria nel codice fascista, dove i mancati processi subiscono un controllo cosiddetto gerarchico. Alfredo Rocco, architetto del regime, aveva scrupoli legalitari. Meno inibiti, i fautori d' una soi-disante «moderna democrazia» sotterrano anche l' idolo verbale. L' antietica al potere richiede meccanismi penali regolabili dal governo secondo un variabile tornaconto, dove entrano partiti, clan, logge, cosche, confraternite, famiglie, persone: viene comodo nella prospettiva d' un lungo dominio (finché duri l' autocrate, scomparso o affiochito il quale, saranno spettacolo da basso impero le guerre dei diadochi, speriamo senza effusione cruenta), ma è più facile dirlo che riuscirvi; nonostante il decerebramento mediatico, l' Italia non pare pronta agli affari penali disponibili come diritti reali o crediti; qui vale una fisiologica autonomia privata, là corrono false giustizie selettive, con soperchierie, privilegi, licenze, occhi riguardosamente chiusi; amministratori corrotti scavano enormi buchi nei bilanci mangiando denaro pubblico e nessuno li tocca, mentre va sulla graticola l' onesto antipatico ai boiardi. Inoltre la riforma appare complessa: che l' azione sia obbligatoria, non lo dicono solo norme codificate; l' hanno scritto i costituenti (art. 112); e le revisioni costituzionali seguono percorsi laboriosi col rischio d' uno scacco nell' eventuale referendum (art. 138). Osso duro, dunque, senonché i berluscones non sono mai a corto d' espedienti, spesso grossolani, nello stile degl' imbonitori da fiera: li tirano fuori dalla bisaccia presupponendo un pubblico infantile; «ha 11 anni», anzi meno, insegna l' Infallibile; e recitano impassibili, né sa d' autoironia lo sguardo spento. Nel pensatoio forzaitaliota qualcuno, non ricordo chi, fabulava d' un pubblico ministero imbeccato dalla polizia, cieco e monco: ridotto a pura ugola o mano scrivente, non ha cognizioni dirette; opera su quel che raccontano investigatori eventualmente manovrati dal vertice politico; e il governo stabilisce chi perseguire. Ecco quadrato il circolo. Idea grottesca ma Sua Maestà, la corte e relative platee hanno bocca buona. L' attuale guardasigilli l' ha esumata: i truccatori le stanno intorno; la pettinano e imbellettano; cosmesi lunga, passerà un mese prima che venga alla ribalta. Il colpo geniale corre voce che sia un filtro delle notitiae criminis: pubblico ministero inerte come l' automa al quale manca la corrente; gliela inietta il rapporto poliziesco (parola ignota all' attuale codice, pour cause: vi ha sostituito «denuncia»); e attendibili congetture prospettano un art. 347, c. 1, da cui cada l' inciso «senza ritardo» (così ora bisogna informarlo). Aspettiamo la revenante. Sarà l' ennesimo capitolo nello scibile dei mostri: quante volte ho nominato Ulisse Aldrovandi, raccoglitore d' una casistica spesso fiabesca; le cronache attuali indicano fenomeni corpulenti. Comunque la trucchino, l' estinta resterà tale. Norme simili nascono morte, finché viga l' attuale Carta o il Partito della cosiddetta libertà non infiltri otto fedeli nella Corte competente. Avvertimento inutile: hanno il passo dei sonnambuli sul tetto, ma diversamente dal sonnambulo ogni tanto cadono, vedi l' autore della strepitosamente invalida legge che rendeva inappellabili i proscioglimenti [avv. Gaetano Pecorella, nota del gufo], futuro giudice alla Consulta, pronosticano gl' intenditori, lui e l' ex comunista, [on. Luciano Violante, nota del gufo] presidente della Camera nell' infausta XIII legislatura, ora severo censore del costume togato. Lo dicono solidale con i forzaitalioti sulle redini da stringere al requirente e ha spiegato come lo voglia: seraficamente inattivo finché gli servano un rapporto; non è affare suo cercare notitiae criminis. Sommessamente distinguerei: niente da obiettare quando nobildonne russe sparano all' amante fedifrago (capitava nella Belle Epoque, donde famosi dibattimenti); solo un pubblico ministero mattoide va en quête preventiva d' eventi simili; nelle indagini contro boss mafiosi o politicanti corrotti, invece, grida vendetta l' idea d' una immobilità coatta su ogni ipotesi storica non ancora riferita dalla polizia. Se varca il limite, cosa capita? Buttiamo via i materiali raccolti, farina del diavolo? Varrà la pena discuterne in termini seri. Male studiata, la procedura penale talvolta figlia sgorbi, non ancora a questo livello teratologico. Sub divo Berluscone è prudente l' avverbio.

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La battaglia finale


Cordero non è semplice nella forma, ma è documentato quanto dotto. Con gratitudine riporto il suo ultimo articolo

Franco Cordero da La Repubblica del 30 settembre 2008

Il re decrepito, tema della fantasia alchimistica: le sue terre decadono; non cresce più niente.Bisogna ringiovanirlo e l’opus comincia da una “mortificatio”: nel “Viridarium chemicum” muore massacrato dai rivoltosi; in Mayer, “Scrutinium chemicum”, un lupo lo divora affinché rinasca dal fuoco (cito dalla junghiana “Psicologia e alchimia”, figure nn. 173 e 175, ed. inglese).Sir George Ripley, canonico di Bridlington (1415-90), racconta una metamorfosi meno cruenta: acquattato sotto le vesti materne, ridiventa feto; lei mangia carne di pavone e beve sangue d’un leone verde (nell’iconografia alchimistica corrisponde all’unicorno); il rinato riceve carismi da luna, sole, stelle attraverso una vergine inghirlandata il cui latte è vita; trionfa sui nemici, guarisce gl’infermi, estingue i peccati (ivi, 408 ss., e “Mysterium coniunctionis”, pp. 274-80).Non era digressione oziosa. Abbiamo un presidente del Consiglio fuori misura: cantastorie stipendiati vantano mirabilia e ne è convinto; «toccatela», diceva offrendo la mano in un convegno, «ha fatto il grano»; quanto più taumaturgo dei re che guarivano gli scrofolosi.Ma deperiscono anche i corpi regali.Nell’“Allegoria Merlini” fenomeni d’idropisia preludono alla rinascita: pronto alla battaglia, chiede da bere e beve troppo gonfiandosi; non può salire in sella; vuol sudare in una camera calda; vi rimane esanime; allora vari mediconi lo tritano, poi riplasmano con ammoniaca e nitro; cuoce nel crogiolo.Quando l’ultima stilla è caduta nel vaso sottostante, salta su gridando: dov’è il nemico?; vengano a sottomettersi; se qualcuno resiste, l’ammazza.Voleva sudare e affinarsi anche Re Lanterna, padrone degli ordigni con cui s’è fabbricato un popolo d’elettori: riposava tra fanghi, pietre vulcaniche et similia; nel quarto giorno esce, dovendo assistere al derby milanese.L’unica differenza dall’“Allegoria Merlini” è che non l’abbiano tritato: resta qual era, compatto, nerovestito, arrembante; e stermina i nemici: non vuol più sentire la parola “dialogo” (scelta semantica seria, diamogliene atto); un secco fendente decapita l’avversario, colpevole d’essersi accorto del nascente regime autoritario.Seguono due battute: la Corte costituzionale renderà ossequio al cosiddetto lodo Alfano, del cui valore un collegio del Tribunale milanese osa dubitare; altrimenti, e la voce assume toni gravi, ha in serbo una «profonda riflessione sull’intero sistema giudiziario». Parlava chiaro: qualcuno s’illude d’imprigionarlo in ragnatele legali?; gl’istogrammi dei consensi dicono chi comandi; avendo l’“omnipotence de la majorité”, fa quel che vuole; può rifondare Carta, codici, personale. Non lo fermano due o tre parrucche, o quante risultino determinanti dell’ipotetica decisione ostile: s’infuria ogniqualvolta dei giudici non deliberino nei termini convenienti; è lesa maestà contraddirlo. Che lo pensi, era chiaro: gli ripugnano diritto, etica, grammatica; lo Stato è una delle sue botteghe; sinora però teneva l’idea dentro e finché stia al gioco pudibondo, l’ipocrisia vela i più tristi spettacoli. Domenica sera l’ha detto, spiazzando cosmetologhi e consiglieri legali. L’outing scoperchia retroscena visibili da chiunque non chiuda gli occhi: sarà arduo sostenere che l’immunità tuteli un interesse generale; l’ha smentito dai telegiornali, a viso duro; la pretende come scudo nei prossimi 12 anni, ritenendosi diverso da tutti, e guai se una Corte trova da eccepire. In sede morale figura male, guadagnandovi perché gli aspetti “canaille” rendono.Oltre alla disinvoltura piratesca, sinora esibiva un penchant fraudolento, dall’ascesa affaristica alle campagne mediatiche con cui tre volte s’è impadronito del potere.Stavolta siamo sul cóté violento, emerso tre mesi fa quando un emendamento al decreto sicurezza, straripando dai termini convenuti al Quirinale, minaccia scempi se non gli garantiscono l’immunità: centomila processi al diavolo; gliela votano e l’emendamento cade; caso classico d’estorsione. Eguale odore penalistico manda l’ultimo fosco messaggio: l’art. 289 c.p. incrimina «ogni fatto diretto a impedire anche temporaneamente» che la Corte eserciti le sue funzioni; e la pena va dai 10 anni in su ma è questione accademica, essendo lui immune dal processo, qualunque sia l’ipotetico reato, anche fossero in ballo i presupposti della convivenza civile.Siccome esistono precedenti italiani, vale la pena riflettere nel senso etico-intellettuale (la «profonda riflessione» prospettata domenica 28 settembre era minaccia oscura).Raccomandiamo l’argomento ai liberal, cultori d’uno Stato democratico moderno: così dicono abusando delle parole; il plutocrate allevato dal vecchio malaffare politico, campione d’un grossolano populismo, configura fenomeni né moderni né liberali.L’analogia colpisce l’occhio perché i discorsi de quibus corrono sotto la stessa illustre testata. Post ottobre 1922 LuigiAlbertini, formidabile tecnocrate della cura d’anime giornalistica, ha la coscienza inquieta: non l’ammette, anzi ripete vecchie invettive esorcistiche; a sentire lui, le sventure italiane vengono da Giolitti, ma i cinque volumi dei “Venti anni di vita politica” dicono quanto basta al giudizio storico.Rivisti gli eventi a testa fredda, gli restano pochi motivi d’orgoglio: insisteva nell’assurdo tentativo d’escludere le masse dalla scena politica; patrocinava teste piccole e torbide come Sonnino e Salandra; guerrafondaio quando è chiaro che nel caso migliore l’Italia uscirebbe stravolta; sostiene lo squadrismo fascista, reazione salutare al pericolo rosso, nonché alla neoplasia cattolica. Dio sa come potesse vedere nei fascisti un partito liberale giovane; e ancora dopo l’insediamento mussoliniano spera una metamorfosi virtuosa, ma precede tutti gli esponenti del vecchio establishment nel dissenso: in extremis salva l’anima. Siamo a quel punto? Il teatro storico non concede bis perfetti: nello scenario 2008, ad esempio, manca l’equivalente d’un braccio armato del regime qual era la Milizia volontaria; cose d’allora sono impensabili oggi, fermo restando lo sfondo antropologico (Achille Starace e vari altri vengono su come funghi).L’analogia sta nel grave pericolo. Sotto qualche aspetto rischiamo più d’allora: Mussolini era uomo politico, con difetti calamitosi ma non affarista né pirata; e intellettualmente valeva alquanto più del musicante da crociera, impresario edile, piduista, spacciatore del loto televisivo. Nelle desinenze latine s’equivalgono: «unguibus et rostribus», declama il furibondo maestro elementare romagnolo; l’altro, laureato, infila nella loquela d’imbonimento un «simul stabunt, simul cadunt», ma racconta d’ avere tradotto Erasmo, il cui latino umanistico non é dei più facili.

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