venerdì, giugno 05, 2009

 

Un consiglio a chi è "stremato, scusate ma non ce la faccio più", e non vota!


Se non passa provare a leggere con attenzione il bel pezzo di Michele Serra.
Poi, riprendere umilmente a votare!
gufo

IL RISCHIO DEL NON VOTO

UNA delle incognite di queste elezioni è l' astensionismo di sinistra. Lo spettacolo, annoso e dannoso, delle lotte intestine tra dirigenti sempre più anziani e sempre più narcisi; e la presenza nel Pd di una componente clericale (che non è sinonimo di cattolica) che boicotta in partenza ogni riforma laica sembrano, tra i tanti, i due elementi più respingenti. Così respingenti da rischiare di mettere in ombra perfino le evidenti conseguenze che l' astensione avrebbe sulla scena politica: rafforzare ulteriormente il centrodestra. Nelle discussioni tra amici, nelle lettere ai giornali, impressiona la natura "nuova" di questi aspiranti astensionisti. In larga parte non appartengono all' area da sempre irrequieta del radicalismo ideologicoo dell' antipolitica. Si tratta in molti casi di militanti di lungo corso della sinistra storica, profondamente partecipi della vita sociale, gente di sindacato, di partito, di primarie, di assemblee di quartiere, a suo agio nelle faccende pubbliche. Il tono, più che disgustato, è stremato: scusate, ma non ce la faccio più. Oppure si tratta di giovani che si sentono drasticamente esclusi dal discorso pubblico, e ne traggono l' altrettanto drastica conseguenza di rispondere per le rime: voi non vi occupate di me, io non mi occupo di voi. Alle persone della mia formazione politica e della mia generazione, l' astensionismo è sempre parso una diserzione imperdonabile. Oggi mi sembra soprattutto un disperato gesto politico, nella speranza di staccare la spina a questa sinistra, e soprattutto alla nomenklatura di questa sinistra, per far rinascere finalmente altro, e altri. Ma con altrettanta onestà voglio spiegare, da cittadino, perché ho deciso di andare a votare, mettendo da parte dubbi e perplessità. E perché considero un errore (un errore, non una colpa) non farlo. Il potere smisurato e quasi senza argini di Berlusconi è una ragione assolutamente ovvia e stradetta, ma non per questo meno evidente, e grave. Una sinistra ulteriormente indebolita (il Pd prima di tutto, ma anche le altre liste di opposizione) confermerebbe lui, e la sua folta claque, nella presunzione di poter fare finalmente e definitivamente da soli. E senza più impicci. Già parla "in nome del popolo" e "in nome degli italiani": come dirgli "ma non in mio nome" senza andare a votare per l' opposizione, e a fare numero? Ma accanto a questa ragione, urgente ma tutto sommato contingente (Berlusconi è solo una lunga parentesi di una storia molto più lunga e importante di lui), nella decisione di andare comunque a votare pesa una concezione radicata non solo e non tanto della politica, quanto della persona-cittadino. Per dirla in parole molto semplici, autoriferite per comodità, non riesco a immaginarmi non votante senza sentirmi in disaccordo con me stesso. Non dico in colpa: i sensi di colpa non portano mai lontano. Dico in disaccordo con me stesso. In questo stato d' animo conterà certo qualcosa il "richiamo della foresta": se si passa una vita intera a considerare il voto come un diritto-dovere (così, del resto, lo definisce la Costituzione), non è facile passare davanti a un seggio elettorale voltando la testa dall' altra parte. Ma conta, più di tutto, il fatto che nell' astensione percepisco un elemento di platealità (mi si nota di più se non vado...) che si incastra perfettamente nell' eccesso di emotività nazionale. Votare, almeno per me, è un gesto umile e razionale. Significa, lo dico brutalmente, accettare di far parte di una mediocrità collettiva (la democrazia è anche questo) piuttosto che di un' eccellenza appartata. Votare significa accettare i limiti non solo di un partito e dei suoi candidati, ma anche i propri. Il non voto è una specie di "voto in purezza", un gesto estetico e sentimentale che antepone l' integrità dell' io alla contaminazione del noi. L' astensionista menefreghista (quello che una volta si chiamava qualunquista) è uno che non si immischia, l' astensionista nobilee deluso di oggi è uno che non si mischia: cerca di salvare se stesso, la propria coscienza, la propria coerenza, levandoli dal tavolo di gioco e portandoseli a casa. Se è il narcisismo la colpa che, giustamente, si imputa ai dirigenti della sinistra e del centrosinistra, specie i post-comunisti, l' astensionista sappia che rischia di peccare anch' egli di narcisismo. Aiuta e serve solo se stesso, lasciando in mani altrui la precaria, vischiosa materia dell' identità collettiva. Questa sinistra, queste sinistre, sono anche il prodotto delle nostre idee (quelle giuste e quelle sbagliate) e delle nostre vite. I loro pregi e i loro difetti assomigliano molti ai nostri. Aggiungere alla lista dei difetti la rinuncia astensionista, e sottrarre a quella dei pregi l' umiltà dell' impegno pubblico, non aiuta di certo a migliorare il bilancio: della sinistra e delle persone di sinistra.

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martedì, giugno 02, 2009

 

"Al puttaniere si perdona....


al cornuto NOOO!"








ho trovato questo commento sull'ottimo blog napoletano "Jeneregretterien"
nasce la speranza che il perfido quanto interessato e fasullo raccontino della Santanchè (detta Santadechè nello stesso blog) a Feltri sortisca un effetto imprevisto. 
l'immagine è linkata a un altro blog, da cui proviene.
italiani, che pensare di noi? non sarà nè bello nè serio, ma se fosse questo davvero l'"inizio della fine"?
gufo

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CLOWN

Dispiace sentirselo dire e dispiace ancor più che sia vero.
E cade la maschera. Personalmente comincio a dubitare della capacità di comunicare.
The Times è nato nel 1875, è sempre stato conservatore, ha saputo conservare una sua tradizione di prestigio; sostenere che si faccia "passare le veline" (non si diceva così prima che il Cavaliere cambiasse l'accezione di velina?) o semplicemente influenzare dalla sinistra italiana, pare proprio azzardato!
Il Sole 24 ORE ha pubblicato ieri un articolo di Elysa Fazzino, il cui inizio riporto qua sotto

VISTI DA LONTANO / Times: «Cade la maschera del clown»

di Elysa Fazzino

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1 GIUGNO 2009

«Cade la maschera del clown»: così il quotidiano londinese The Times titola un duro editoriale che attacca il premier italiano Silvio Berlusconi, chiamandolo a «rispondere alle accuse di essere un donnaiolo e alle domande sulla condotta inappropriata». Il Noemi-gate è sempre sotto i riflettori dei media esteri e in qualche caso assume i toni della sfida. «Berlusconi non può tenere imbrigliata la stampa straniera», titola oggi un commento dell'Independent. L'attenzione sulla vicenda è alta sui siti inglesi, francesi, spagnoli e americani.

«La qualità del governo non è una questione privata», scrive il Times nel sommario dell'editoriale pubblicato anche sul sito del quotidiano londinese. «L'aspetto più sgradevole del comportamento di Silvio Berlusconi – comincia l'articolo - non è che è un pagliaccio sciovinista. Né che corre dietro a donne di 50 anni più giovani di lui, abusando della sua posizione per offrire loro posti di lavoro come modelle, assistenti o perfino, assurdamente, come candidate al Parlamento europeo». «Ciò che è più scioccante è il completo disprezzo con cui egli tratta l'opinione pubblica italiana».

«Il senile dongiovanni può trovare divertente, o forse anche ardito, agire da playboy, vantarsi delle sue conquiste, umiliare la moglie e fare commenti che molte donne troverebbero grottescamente inappropriati». Il Times concede che Berlusconi non è il solo la cui condotta è inadatta alla sua carica. «Ma quando vengono poste domande legittime su relazioni scandalose e i giornali lo sfidano a spiegare legami che come minimo suscitano dubbi, la maschera del clown scivola giù. Egli minaccia quei giornali e le stazioni televisive che controlla, invoca la legge per proteggere la propria privacy, pronuncia dichiarazioni evasive e contraddittorie, e poi melodrammaticamente promette di dimettersi se fosse colto a mentire».

«La vita privata di Berlusconi è, ovviamente, privata», continua il Times. Ma, aggiunge, «come si è reso conto Bill Clinton, scandali e alti incarichi pubblici non vanno d'accordo». Il quotidiano britannico respinge come «insensato e condiscendente» il ragionamento di chi dice che l'Italia non è l'America, che l'etica puritana degli Stati Uniti non ha mai dominato la vita pubblica italiana e che pochi italiani si scandalizzano davanti ai donnaioli. «Gli italiani comprendono bene quanto gli americani cosa è accettabile e cosa non lo è. E, come gli americani, giudicano spregevole il cover-up», ovvero l'occultamento.

Secondo il Times, pochi media in Italia sono in grado di esprimere questo punto di vista senza timore di un castigo e rende merito a La Repubblica per avere continuamente sollevato domande al primo ministro sulla sua relazione con Noemi Letizia. «Alla maggior parte di queste domande, sulle labbra di ogni italiano sconcertato, non ci sono state risposte soddisfacenti».

E' uno scandalo che riguarda non solo gli italiani ma anche gli stranieri, afferma in conclusione il Times. «Qualcuno potrebbe dire che tutto ciò non riguarda i forestieri. Ma gli elettori italiani, alla vigilia delle elezioni europee, dovrebbero riflettere sul modo in cui è guidato il loro governo, sui candidati considerati adatti per Strasburgo e sul livello di sincerità del premier durante la crisi economica e politica. E la faccenda riguarda anche altri». «L'Italia ospita quest'anno il summit del G8», dove si svolgeranno importanti discussioni: «I Paesi occidentali chiederanno maggiore cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine internazionale. Berlusconi si considera amico di Vladimir Putin. Il suo paese è un importante membro della Nato. Fa parte anche dell'Eurozona, che è messa alla prova dalla crisi finanziaria globale. Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi cosa sta succedendo. Se lo chiedono anche i perplessi alleati dell'Italia».

Un altro commento sul Times, firmato da Rosemary Righter, osserva che uno scandalo del genere distruggerebbe la maggior parte degli uomini politici, anche in Italia. Ma Berlusconi «sopravvive» come il libertino capace di parlare con la gente. Sul sito del Times c'è anche una corrispondenza dall'Italia, intitolata «Berlusconi blocca la pubblicazione di foto di ragazze in bikini».

Il Financial Times, che la scorsa settimana aveva definito Berlusconi un pericolo per l'Italia, oggi fa notare che l'ondata di pettegolezzi su Berlusconi lascia indietro le cattive notizie sull'economia italiana, distogliendo l'attenzione degli italiani. L'Independent, in un commento di James Waltson, afferma che Berlusconi vorrebbe controllare i media italiani, e in larga misura lo fa. «Ma ha cercato di mettere la briglia anche alla stampa straniera e lo ha trovato più difficile». «Non può sopportare di perdere la faccia e molti dei suoi sostenitori non gli perdonerebbero di avere fatto apparire l'Italia stupida o, peggio, losca».

La ben organizzata finale della Champions League a Roma, la Fiat salvatrice dell'industria automobilistica europea, il soccorso ben coordinato dopo il terremoto in Abruzzo, «tutto ciò passa in secondo piano rispetto agli amoreggiamenti del Primo ministro con una diciassettenne». L'Independent nota che i lettori britannici saranno sorpresi di sapere che Financial Times, Times e Economist «sono boccaloni della sinistra». E conclude: «Berlusconi sta scoprendo che non può manipolare la stampa straniera allo stesso modo di quella nazionale». In un altro articolo, l'Independent scrive: «Saramago contro Silvio: il premio Nobel attacca Berlusconi», dopo che la casa editrice Mondadori si è rifiutata di pubblicare il suo ultimo libro.


CONTINUA ...»

1 GIUGNO 2009

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