mercoledì, gennaio 21, 2009

 

Il commento di Vittorio Zucconi (da Repubblica)


Una giornata che ha voluto riconciliare l'America divisa da 8 anni di guerra
Nel discorso di Obama, una svolta culturale e politica profonda.


Addio all'ideologia di Bush
Obama tende la mano al mondo

WASHINGTON -
"Un uomo che sessanta anni or sono non sarebbe neppure stato servito in un ristorante, oggi presta giuramento per assumere la più alta carica della nazione". Da queste parole, che riassumono senza retorica e senza arroganza l'enormità di quello che abbiamo visto ieri a Washington, deve partire il racconto di una giornata che ha voluto riconciliare l'America straziata e divisa da otto anni di guerra ideologica e di guerra militare, da "falsi dogmi e false promesse". E che non si può più permettere di tergiversare o di nascondersi nella partigianeria: "Se siamo arrivati sotto nubi nere che si addensano sopra di noi è perché non abbiamo fatto le scelte difficili. Il tempo di farle comincia oggi".

Ben oltre l'emozione di un giorno e di una folla come Washington non aveva mai visto nella propria storia, non per funerali, celebrazioni, insediamenti, dimostrazioni che pure l'hanno investita e allagata per due secoli, l'esordio di Barack Hussein Obama ha mostrato, sotto l'eleganza dell'oratoria e della presentazione, le unghie di una svolta culturale e politica profonda, che si può riassumere nella necessità di rispettare insieme "il diritto" e i "valori della democrazia", non potendo l'una esistere senza gli altri.

Ci si attendeva una "lista della lavandaia" di promesse e programmi di azione alla New Deal, che non ha fatto. Quello che ha fatto è stato rovesciare l'ottica miope della cultura repubblicana dominante tra Reagan e Bush e riportare il mondo al centro delle preoccupazioni americane, e non più l'America al centro del mondo. Questo senso di un capovolgimento della clessidra, della riapertura a un mondo che l'angoscia delle Torri Gemelle aveva sbarrato nell'unilateralismo bushista e nella seduzione della forza è quello che ha portato ieri forse due milioni di persone lungo i tre chilometri della spianata fra il Congresso e il mausoleo di Lincoln.

Erano turisti della storia e della speranza venuti dall'Africa e dall'Asia, dal Caribe e dall'Europa, da tutti gli stati americani per rinnovare quel patto di ammirazione e di solidarietà ideale con un'America dalla quale si erano sentiti traditi. O considerati come pedine da spostare o rovesciare in base a teorie, dottrine o false teoremi. Invece "il terreno ci è cambiato sotto i piedi e non possiamo continuare come prima". L'illusione di poter proteggere una democrazia dai propri nemici interni ed esterni sottraendo pezzi di diritti costituzionali nel nome della sicurezza viene catalogata tra "le false promesse e i falsi dogmi".

Il resto del mondo va affrontato "in pace, con dignità e umiltà", perché la forza militare "da sola non ci protegge, né ci autorizzare a fare quello che vogliamo". "Noi tendiamo la mano a tutti coloro che la tendono aperta verso di noi, sciogliendo il pugno".
Siamo non soltanto oltre il bushismo o almeno quella cosiddetta e mai ben definita "dottrina Bush" che fu adottata nel panico dopo l'orrore dell'11 settembre, ma anche oltre il "pagare ogni prezzo o portare ogni peso" di John F. Kennedy alla sua inauguration del gennaio 1961.

Non mancheranno coloro che accuseranno questo giovane uomo che nasconde sotto un autocontrollo titanico le emozioni che abbiamo visto sgorgare quando la moglie gli ha posato la mano guantata sulla spalle per calmarlo durante un'esecuzione musicale completamente inutile e poi nell'impappinarsi al momento di giurare, di essere un ingenuo, un "buonista", che non capisce la realtà oltre il Potomac.

Ma ancora più deluso sarà che si era immaginato che da lui sarebbe venuto l'annuncio di manifesti ideologici, di programmi pubblici di lavoro e di investimenti che ha ridotto invece alla promessa di puntellare l'economia, non di sostituire lo Stato al mercato. "Il governo non è né la soluzione né il problema", come i vecchi liberal e i nuovi reaganiani avevano sostenuto dogmaticamente accapigliandosi senza mai risolvere il dramma delle recessioni periodiche.

Il problema è sapere fare le "scelte difficili" quando vanno fatte, di "tenere gli occhi sempre aperti e vigili sul mercato" che lasciato a se stesso "si avvita fuori controllo. Arriveranno regole, tasse (da pagare, non da evadere) e fiumi di danaro pubblico su imprese e infrastrutture. E soprattutto, è urgente il ritorno alla "responsabilità", la parola sulla quale ha insistito e già batteva in campagna elettorale, mentre i repubblicano lo dipingevano come la reincarnazione di Marx e ed Engels, irritando anche la propria base afro Americana, abituato a essere coccolata e lisciata dei predicatori del vittimismo.

La piccola, e per ora soltanto retorica, rivoluzione culturale che il 44esimo presidente Americano ha proposto, incarnando come nessun avrebbe potuto fare in maniera più evidente l'ansia collettiva di cambiare, sta nel promettere di riportare al cuore dell'amministrazione pubblica "verità, responsabilità e diritto", non "i falsi dogmi", sventolati per dividere e vincere le elezioni, senza poi poter governare. Certamente, "sconfiggeremo i terroristi", "lasceremo l'Iraq al suo popolo", "tenderemo la mano a chi aprirà il pugno e scioglierà la sua mano".

Ma questo presidente, l'uomo che non avrebbe potuto entrare in gabinetto pubblico una generazione fa e da ieri notte dorme con le due figlie bambine (ammesso che siano riuscite a dormire) nella casa dove anche Churchill sentiva gli spettri, ha risposto alla folla che ha risposto a lui ricordando che l'America ha vinto le proprie guerre con la potenza della propria "umiltà" e con la difesa dei propri valori civili e non con la "falsa scelta" (quante volte questa allusione al "falso" è tornata nel discorso tra cannoni e costituzionale. Una verità che nessuno come qualcuno che ha "sentito schioccare la frusta sulla pelle" dei proprio fratelli e sorelle potrebbe testimoniare meglio, nel giorno in cui l'America migliore sembra essere finalmente tornata fra noi, nel mondo.
(21 gennaio 2009)

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